Il destino di Vendola
«Il Pd non è il mio destino». Sembra più questo lo slogan del secondo congresso di Sel (apertosi ieri a Riccione) che non quello scritto sui manifesti, «La strada giusta». Perché è proprio attorno al rapporto col Pd che tutta la faccenda si complica. Al Pd a trazione renziana, Vendola, nella sua relazione di apertura dei lavori, non risparmia critiche, soprattutto dopo l'abbraccio con Berlusconi: «La sinistra ha cercato la vittoria in forma di scorciatoia elettorale e non in forma della sua missione - ha detto il leader di Sel - La fine della diversità berlingueriana ha schiuso le porte alla normalità berlusconiana. E il veleno è entrato anche nel nostro campo», mentre Renzi «finirà stritolato dal caimano».
Nonostante ciò e nonostante il fallimento del progetto politico originale (l'alleanza per andare al governo con Bersani si è capovolta nel suo contrario), Vendola non abbandona l'idea di restare ancorato al Partito Democratico. Certo non è contento dello scherzetto sulla legge elettorale («Questa è l'ingordigia dei grandi partiti. Esprime un tratto illiberale di disprezzo per le minoranze) e, appunto «non ho nessuna voglia di iscrivermi a nessuna delle correnti interne del Pd. Perché il Pd non è il mio né il nostro destino. Loro sono il nostro interlocutore - precisa - non sono la nostra resa. Noi non intendiamo scioglierci fino a quando non nascerà il cantiere della sinistra del futuro».
Salvo poi aggiungere, però, che alle prossime elezioni europee Sel è pronta all'alleanza e a correre anche senza simbolo: «Possiamo andare con il nostro simbolo, ma non siamo neppure ammalati di boria di partito. Se ci sono le condizioni per un allargamento e un'apertura, ci saremo».
Dunque, l'orizzonte è quello; non certo, si direbbe, la prospettiva di una lista d'alternativa a sostegno della candidatura del leader di Syriza Tsipras. Del resto, Vendola l'ha già detto: considera questa lista una «gabbia», perché lo costringerebbe a entrare nel Gue, «il gruppo dell'Europarlamento dove ci sono forze fedeli a vecchie ortodossie comuniste» (sic), mentre per lui resta il Pse la famiglia politica naturale in cui «lavorare per superare un modello fallimentare di austerità» (e pazienza se proprio dal Pse sono passate tutte le politiche neoliberiste che hanno aggravato anziché risolto la crisi economica e sociale nel Vecchi continente). Anche se, fosse per lui, preferirebbe non scegliere: «Per me lo spazio politico da occupare è quello tra Schulz e Tsipras». Che però nessuno sa cosa sia.




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