di Andrea Colombo

 

Del tutto sod­di­sfatto Sil­vio il di-nuovo-Re non è. La stoc­cata del dop­pio turno sgra­dita era e sgra­dita resta. L’importante è vin­cere, non par­te­ci­pare, e ad Arcore cam­peg­gia da sem­pre la con­vin­zione che vin­cere al secondo turno sia impresa quasi impos­si­bile, stante la scarsa dispo­ni­bi­lità dell’elettorato for­zi­sta a farsi mobi­li­tare due volte nell’arco di due settimane.

Lo Sta­ti­sta di palazzo Gra­zioli con­tro­fir­merà lo stesso la riforma scritta a quat­tro mani con Mat­teo il Gio­vane. Il suo com­mento all’intervento dell’alleato è laco­nico e secco: «Esprimo pieno e sin­cero apprez­za­mento. Vogliamo rea­liz­zare quell’intesa in un clima di chia­rezza e rispetto reci­proco». Sil­vio ingo­ierà il bal­lot­tag­gio (even­tuale) per­ché la fac­cenda, per lui, resta un affa­rone. Nell’arco di pochi giorni ha spaz­zato via l’aura di deca­duto che lo cir­con­dava dal giorno della nota sen­tenza. In poli­tica le parole pesano a volte più dei fatti: quelle spese ieri dal lea­der del Pd per lui sono oro colato. Non che sia tutto qui: il merito della legge gli resti­tui­sce un domi­nio incon­tra­stato sulla galas­sia di cen­tro­de­stra, e scu­sate se è poco. In più, il male­detto dop­pio turno, con la soglia al 5%, resta con­fi­nato nel regno delle even­tua­lità impro­ba­bili: al 35% qual­cuno, sta­volta, ci arri­verà. Certo la con­di­zione impre­scin­di­bile per Forza Ita­lia è che la legge, ora, non venga toc­cata più nep­pure di una vir­gola, in par­ti­co­lare pro­prio sulla soglia.

La pos­si­bi­lità di uno spa­reg­gio non è l’unico prezzo che Ber­lu­sconi paga. Ha sacri­fi­cato la mat­tanza dei par­ti­tini, cioè il “vero” sistema spa­gnolo, che resta tut­ta­via sospeso come una minac­cia mor­tale ove l’accordo rag­giunto venisse impal­li­nato nel Viet­nam par­la­men­tare. Ha rinun­ciato anche al mirag­gio del voto in mag­gio, ma non è detto che il rin­vio gli sia dav­vero così inviso. Il 10 aprile si riu­nirà il Tri­bu­nale di sor­ve­glianza di Milano per deci­dere in merito alla richie­sta di affi­da­mento ai ser­vizi sociali. Una cam­pa­gna elet­to­rale da “neo­de­te­nuto”, con le mani legate e le com­par­sate in video cen­tel­li­nate, non farebbe comodo nep­pure a lui. Senza con­tare la spe­ranza che in qual­che modo, di qui alle ele­zioni, il nuovo ruolo di “padre della Terza Repub­blica” lo aiuti a tro­vare una via per rien­trare diret­ta­mente in campo.

Molto più amara la pil­lola che dovrà inge­rire Ange­lino l’ex del­fino. Aveva con­cor­dato l’abbassamento della soglia al 4%, poi, nell’incontro con Renzi subito prima della dire­zione Pd, si è sen­tito spie­gare che pur­troppo per l’amato Sil­vio la pil­lola era indi­ge­ri­bile. Alfano ha pie­gato la testa. Ma sulle pre­fe­renze si è impun­tato: «In par­la­mento diamo bat­ta­glia». E a pro­po­sito del «pren­dere o lasciare» inti­mato dal segre­ta­rio Pd, si è lasciato andare con gli intimi a un sibi­lante: «Que­sto lo dica ai suoi, certo non a noi». Anche i popo­lari vogliono le pre­fe­renze. A Sc vanno bene le liste bloc­cate, non l’eliminazione del Senato, comun­que non accetta il pac­chetto ine­men­da­bile pro­po­sto da Renzi e mira a inter­ve­nire sul pre­mio di mag­gio­ranza. Nep­pure Sel vuole rinun­ciare a emen­dare il testo: il capo­gruppo Migliore pro­pone di inse­rire con­flitto di inte­ressi e ineleggibilità.

In sin­tesi: soprat­tutto al Senato, col Pd diviso, la bozza Renzi-Berlusconi rischia di brutta. La sola arma di cui la strana cop­pia dispone è la minac­cia, con­cor­data aper­ta­mente dai due ieri, di pas­sare al sistema spa­gnolo puro in caso di boc­cia­tura dell’Ita­li­cum. C’è anche un’altra insi­dia. «Una legge tarata solo sulla camera — dice il for­zi­sta d’assalto Min­zo­lini — può essere affos­sata all’ultimo momento silu­rando l’eliminazione del Senato. Se non si pensa a una via d’uscita, come una norma tran­si­to­ria per palazzo Madama, temo che possa andare pro­prio così».

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