Una «larga intesa» in grado spo­stare l’asse delle poli­ti­che di auste­rità verso la defi­ni­zione di nuovi diritti, a par­tire dal red­dito minimo garan­tito. È sul bina­rio indi­cato dall’appello pub­bli­cato dall’associazione «Basic Income Net­work Ita­lia» (Bin) su «Il Mani­fe­sto» del 21 novem­bre 2013 che il sin­da­cato scuola, uni­ver­sità e ricerca della Cgil (la Flc) ha orga­niz­zato oggi pome­rig­gio dalle 15 un’assemblea sul «red­dito minimo» nell’aula 1 della facoltà di Let­tere alla Sapienza di Roma. Par­te­ci­pe­ranno il segre­ta­rio della Fiom Mau­rizo Lan­dini e Nicola Nico­losi, segre­ta­rio con­fe­de­rale Cgil e coor­di­na­tore dell’area pro­gram­ma­tica «Lavoro Società», fir­ma­tari di un emen­da­mento sul red­dito minimo al docu­mento unico del con­gresso Cgil che si terrà a maggio. 

Quella che viene indi­cata come la sini­stra interna del sin­da­cato di Corso Ita­lia chiede alla con­fe­de­ra­zione di bat­tersi a favore dell’istituzione di un red­dito minimo garan­tito in Ita­lia, unico paese euro­peo insieme alla Gre­cia a non pre­ve­derlo «per chi si trova in uno stato di disoc­cu­pa­zione, inoc­cu­pa­zione», utile anche a «inte­grare il red­dito di chi ha un lavoro povero e una pen­sione molto bassa». La «larga intesa» evo­cata nel lan­cio di un’assemblea alla quale par­te­ci­pe­ranno una parte delle 170 asso­cia­zioni che hanno rac­colto più di 50 mila firme per la pro­po­sta di legge popo­lare sul red­dito minimo con­si­ste nel chie­dere al Par­tito Demo­cra­tico, al Movi­mento 5 Stelle e a Sini­stra Eco­lo­gia e Libertà di pre­sen­tare una pro­po­sta unica in par­la­mento. Due di que­ste forze poli­ti­che hanno depo­si­tato alla Camera la loro ipo­tesi. I 5 Stelle stanno discu­tendo la pro­pria («red­dito di cit­ta­di­nanza» la defi­ni­scono) su una piat­ta­forma online e dovreb­bero pre­sen­tarla pre­sto. L’invito del Bin è di «appro­vare una pro­po­sta di legge, la più uni­ver­sa­li­stica, garan­ti­sta e inclu­siva pos­si­bile». Pd, Sel e M5S par­te­ci­pe­ranno all’assemblea.

La par­tita sul red­dito minimo in Cgil non è facile. È pos­si­bile che le pole­mi­che sulla rap­pre­sen­tanza influi­scano sull’equilibrio rag­giunto tra i soste­ni­tori del docu­mento uni­ta­rio, tra cui ci sono anche la Fiom e la Flc. Nel caso, non certo scon­tato, di un voto favo­re­vole al con­gresso, una Cgil schie­rata a soste­gno dell’introduzione del red­dito minimo garan­tito sarebbe una rivo­lu­zione cul­tu­rale a sini­stra. Mai prima di oggi, infatti, in un sin­da­cato anco­rato nella cul­tura lavo­ri­sta che teo­rizza la pre­va­lenza dello stru­mento del con­tratto e la garan­zia dei diritti del lavoro dipen­dente si è cer­cato di affer­mare una visione che mette al cen­tro la per­sona indi­pen­den­te­mente dal con­tratto posseduto. 

Que­sto salto di para­digma è rima­sto poco più di un rumore di fondo nelle stanze di Corso Ita­lia, men­tre costi­tui­sce da vent’anni la riven­di­ca­zione di tutti i movi­menti sociale di base. Le recenti prese di posi­zioni della segre­ta­ria gene­rale Cgil Susanna Camusso a favore di «un sistema di ammor­tiz­za­tori sociali che garan­ti­sca diritti, qua­lun­que sia il set­tore e la moda­lità con cui si lavora e anche quando si perde il posto» sem­bra pre­stare ascolto a que­sto rumore. 

La sen­sa­zione che molti hanno in Cgil è quella di rischiare di per­dere un treno — una riforma del Wel­fare in senso uni­ver­sa­li­stico — man mano che la crisi con­ti­nuerà a dispie­gare i suoi effetti distrut­tivi. A pesare è stato anche il «Jobs Act» annun­ciato dal segre­ta­rio Pd Mat­teo Renzi. Lan­dini prima, Camusso poi, si sono espressi posi­ti­va­mente. Solo dopo la pre­sen­ta­zione di un testo defi­ni­tivo, si capirà se que­sta «intesa» è defi­ni­tiva o aprirà un nuovo fronte di battaglia. 

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