di Gian Filippo Della Croce

 

PERUGIA - Che anno sarà? E’ la domanda angosciosa che nello scenario fosco di una crisi che appare senza fine, nonostante le finte interpretazioni ottimistiche di quei politici che volendo conservare la loro poltrona parlano di “ripresa” a un Paese ai primi posti in Europa per pressione fiscale sui cittadini e sulle imprese, per numero di disoccupati e per una burocrazia inefficiente che costa oltre 31 miliardi di euro all’anno. Che anno sarà quello appena entrato, ci domandiamo insieme al presidente Napolitano che nel suo messaggio televisivo di fine anno, ha voluto porsi anche lui la domanda nel contesto di un  discorso alla nazione giocato in chiave emotiva, basato sulla lettura degli accorati appelli contenuti in alcune lettere inviate da cittadini alla sua attenzione.

Lettere nelle quali emergeva tutto il disagio, tutta la disperazione di chi imprenditore, studente, casalinga, pensionato, cassintegrato, disoccupato, ormai fa fatica ,considerando la sua condizione, a credere che questo paese abbia un futuro. Ma la televisione, lo sanno bene anche i ghostwriter del presidente, è uno strumento capace di generare emozioni, e questo è un fatto positivo se lo si  usa nei modi e per i fini giusti. Quali? Far prendere coscienza per esempio alla politica che non c’è più tempo, perché in Italia manca ormai da troppo tempo la cosa più importante che rende grande una nazione: la speranza nel suo futuro, una speranza  che può essere possibile in Italia soltanto con il cambiamento. E’ riuscito in questo intento il messaggio di Napolitano? Un po’, soltanto un po’, perché il resto del suo appello al paese è poi scivolato sul clichè ormai insopportabile dei “sacrifici” che gli italiani dovrebbero ancora fare fino a non si sa quando, per uscire da una crisi che ormai davanti agli occhi di tutti non è più soltanto finanziaria, ma sociale e istituzionale con tutti i pericoli insiti in questa sua consistenza. C’è stata, per la verità, nel messaggio presidenziale, anche una esortazione alla politica a far presto, ma nelle condizioni in cui si trova, la politica italiana, questa affermazione sta diventando sempre più un vuoto luogo comune.

Ma forse il Presidente non poteva dire di più, perché inevitabilmente avrebbe ancora maggiormente allargato l’abisso che ormai divide la società civile dalla politica e dai politici, un abisso che fa sempre più paura e che potrebbe inghiottire definitivamente le residue speranze e risorse del paese, fino a inghiottire anche la sua essenza democratica. L’ultimo sondaggio Demos infatti ci consegna al proposito un quadro inquietante, con un 40% di intervistati che  afferma di non credere più alla democrazia  e quindi di poter fare a meno del sistema democratico. Siamo probabilmente molto più vicini al punto di non ritorno di quanto pensiamo, laddove l’emergenza sociale diventa anche emergenza democratica e dove la spinta alla riconquista di livelli di sicurezza sociale perduti o ridimensionati diventa sempre più simile allo scontro fra le “placche” che costituiscono la crosta terrestre, quegli scontri imponenti che come tutti sanno generano disastrosi terremoti. La frammentazione della società indotta dalla crisi , la fa assomigliare appunto alla crosta terrestre spezzata, alla deriva, e protagonista di collisioni catastrofiche.

L’impoverimento di intere fasce sociali, la proletarizzazione di settori della società decisivi per il suo equilibrio, sono sempre più individuabili come il propellente per un possibile prossimo incendio che potrebbe distruggere molte certezze fasulle o di comodo, in merito ad un presunto superamento della situazione attuale in tempi brevi, annunciato con  insopportabile, cinica leggerezza, come una possibile “crescita” senza lavoro. Paul Krugman, economista, scrive :” Presumo che un giorno salterà fuori qualcosa e finalmente ci riporterà alla piena occupazione. Tuttavia non posso fare a meno di ricordare che l’ultima volta che ci trovammo in una situazione del genere, quel qualcosa fu la seconda guerra mondiale.” Che anno sarà?

 

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