Luciano Gallino e il colpo di stato di banche e governi
"Il più grande fenomeno di irresponsabilità sociale di istituzioni politiche ed economiche che si sia mai verificato nella storia", così definisce la crisi aperta nel 2007 Luciano Gallino, un colpo di stato di banche e governi (è il titolo, clamoroso, del resto, del suo ultimo librouscito pochissimi giorni fa da Einaudi). Attraverso un lavoro che è insieme di ricerca, di sintesi e di denuncia risaltano, con particolare chiarezza e lungimiranza, alcune questioni cardinali. Eccoli, a mio avviso.
Anzitutto che han ragione quelli che sostengono che la crisi è esplosa con violenza nel 2007 ma dopo un lungo periodo di stagnazione dell'economia mondiale, avviato a partire almeno dalla fine degli anni Settanta. La finanziarizzazione ha così operato come una sorta di motore ausiliario per la crescita - continua la metafora automobilistica di Gallino - data la debolezza del motore principale, l'investimento produttivo.
Poi, stabilito che la crisi non è un incidente di percorso ma è il prodotto di distorsioni profonde dell'intero sistema finanziario e monetario, va osservato che le strutture non operano da sole. Ci han pensato non solo le Banche centrali (Bce, Fed americana, Banca d'Inghilterra) e il Fondo monetario internazionale ma anche una folla di altri enti, a cominciare dalle bank holding companies, le banche universali sia private (Bnp-Paribas o Unicredit) sia pubbliche come Landesbanken banche regionali tedesche. Tutte invariabilmente impegnate per decenni a trarre maggiori entrate dagli investimenti e dalla speculazione per conto proprio che non dai risparmi che gestiscono (fondi pensione pubblici e privati, fondi di investimento e compagnie di assicurazione)
Tutto questo mentre ancora troppi credono alla "narrazione" per cui la crisi nascerebbe dal debito pubblico degli Stati (ecco subito il senso di colpa per la spesa sociale!) e non dal debito privato delle banche e dalla sregolatezza della finanza: un eccesso di credito concesso dalle banche e trasferito fuori bilancio (cito quasi letteralmente) nella finanza ombra per mezzo della sua trasformazione in titoli commerciali.
Senza tener conto inoltre che la disoccupazione è di per sé più grave, Gallino riprende a questo proposito Amartya Sen, dello stesso scandalo del debito pubblico: in Italia ha toccato cifre da capogiro e i suoi effetti vanno misurati anche in termini di ricchezza non prodotta (80 miliardi per il nostro Paese nella sua stima), riduzione del Pil, malessere sociale, aumento della criminalità.
E, infine, tacendo i governi (e la sinistra stessa aggiungo io) il fatto capitale che le politiche di austerity mirano a tagliare proprio lo stato sociale, la più grande invenzione dell'Europa: finendo per colpire in gran parte i figli e i nipoti di quella classe operaia e media già vittime della stagnazione dei salari intervenuta, a livello globale, sin dagli anni Settanta.

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