di Leonardo Caponi

 

PERUGIA - C’erano una volta i negozi del centro storico di Perugia. Erano belli, i migliori. Sinonimo di qualità e prestigio, rappresentavano, indiscutibilmente l’elite, del commercio cittadino e di quello della provincia. Erano più cari, ma avevano prodotti esclusivi, introvabili da altre parti. Frequentati stabilmente da una clientela selezionata e benestante, la maggioranza del pubblico ricorreva a loro quando aveva bisogno di un articolo di qualità superiore o in occasioni particolari dell’anno o della vita, come può essere il Natale o un matrimonio. Sir Charles e RB hanno rappresentato un mito, nel campo dell’abbigliamento “ricercato” di stile anglosassone, per generazioni di giovani perugini che pure dovevano limitarsi a vedere da fuori le loro vetrine; il Bandito ai tre Archi ha “portato” a Perugia la moda dei blue jeans “consumati”; Servadio e il primo Cantarelli erano i negozi dell’eleganza classica; il pane “speciale” di Ceccarani, le “paste” di Sandri, gli alimentari di Giuliano, la frutta fuori stagione di Aquino, gli orologi di Biagini, i confetti e le bomboniere di Bindocci hanno fatto epoca, segnando un periodo, anni ’70 e 80, fecondo e felice della storia recente della città. La ricchezza di quella rete commerciale era completata da esercizi per i consumi più a buon mercato e di massa, come i grandi magazzini Standa e, nel campo dell’abbigliamento e della merceria, i magazzini Conti e il negozio di Cribellati. E chi non ricorda lo Zozzone di via del Forno, con i suoi magnifici fritti di filetti di baccalà e patate in pastella? Era un’altra Perugia. Tutto o quasi tutto ruotava attorno al centro storico. Persino le farmacie erano sistemate quasi tutte in centro città, provocando agli utenti della periferia e delle frazioni, non pochi disagi per essere raggiunte di giorno e, soprattutto, quando era necessario, nelle ore della notte.

   Poteva andare avanti in quel modo? No, è evidente. Senza decentramento e la ricerca di nuovi spazi, la città non sarebbe mai cresciuta. E, allora, il problema qual è? E’ che si è esagerato; si è generata, per eccesso, un’inversione delle parti. Anzi, qualche cosa di più. La rete commerciale del centro, amputata di importanti settori merceologici, ha perso il suo primato, è diventata una delle tante, anzi forse inferiore ad altre e ha lasciato a queste ultime quei motivi di appeal che, un tempo l’avevano resa unica ed esclusiva. Oggi questo scettro è detenuto dai centri commerciali della periferia perugina e di altre città dell'Umbria. Sempre più di frequente si sentono frasi del tipo “al centro di Perugia non c’è più niente, se vuoi trovare qualcosa devi andare all’Ipercoop, a Bastia, a Foligno”. E così Corso Vannucci e Piazza VI Novembre appaiono troppo vuote in questi giorni di Natale, come impietosamente mostra la webcam dello studio di un professionista perugino che diffonde le sue immagini via Internet.

   “E’ la concorrenza, bellezza!” hanno risposto sostanzialmente in questi anni i pubblici amministratori di fronte alle proteste e richieste di aiuto dei commercianti; è colpa loro se sono rimasti indietro. Certo i commercianti hanno le loro colpe, soprattutto quella di una mentalità individualista che ha condannato al naufragio vari tentativi di fare causa comune, ma c’è anche obiettivamente da considerare che hanno dovuto lavorare in una situazione difficile, caratterizzata dallo svuotamento dell’acropoli e da problemi di accessibilità inesistenti altrove. Alcuni di loro hanno pagato il difficile tentativo di difendere uno spazio di qualità e non piegarsi ad una logica di massificazione delle produzioni che solo una stolta retorica continua ad affermare che “premia i migliori”. La crisi della rete commerciale è insieme  espressione e componente del declino del centro storico e il declino del centro è espressione della fatica evidente di una città che è molto cresciuta ma che, attorno al gigantismo edilizio e commerciale delle periferie, ha perso coesione e identità e anche per questo subisce, amplificati, i problemi della crisi attuale. Di amarcord non si vive, ma può aiutare ad identificare una nuova politica per il centro. Non è un favore che si fa a commercianti ricchi e qualunquisti, ma sarebbe un bene per l’intera città. 

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