di Leonardo Caponi

 

   Finalmente è tornata l’estate di una volta. Era ora, perché il succedersi delle stagioni dell’ultimo quindicennio, forse più, aveva messo in crisi molti luoghi comuni e radicate convinzioni, le credenze come vengono chiamate, tramandate dalle generazioni dei perugini. Frasi nostre, dei nostri genitori e dei nostri nonni, tipo: “hai preso il ‘golfino’ per la sera?”; oppure: “l’estate a Perugia, dopo i temporali di ferragosto, è praticamente finita”; o ancora: “il caldo ‘vero’ nella nostra città dura al massimo una settimana o due, poi torna il fresco”, sono potute sembrare l’amarcord di un tempo che fu.  Quello, frugando nella memoria più lontana, delle passeggiate serali fuori porta, nella campagna a ridosso del nucleo storico, a raccogliere le lucciole che di notte, sotto il bicchiere, diventavano miracolosamente monetine; quello del cinema all’aperto di via Fiorenzuola (sedie, di legno, così scomode e rumorose non sono mai esistite!), delle sale da ballo all’aperto come la Terrazza del Lilli e il Giardino di via del Bellocchio, degli spettacoli (oggi ripresi) al Frontone.  Per venire a tempi più recenti, erano gli anni di quel miracolo della tecnica che era il tetto semovente del cinema Lilli, che si apriva, d’estate, tra uno spettacolo e l’altro, per far uscire il fumo delle sigarette che aveva riempito la sala o del Festival del cinema western che, ogni agosto, si svolgeva al Turreno con spettacoli che, all’una passata di notte in un’altra Perugia, si concludevano con uno spaghetto alla carbonara da Cesarino o al bar Nicolelli.

    Temperature ostinatamente sopra i trenta gradi per lunghi periodi, caldi umidi e soffocanti degni delle città del sud del mondo, siccità prolungate sembravano accreditare le tesi di una parte dei climatologi, circa un processo di tropicalizzazione del bacino del Mediterraneo, come conseguenza del surriscaldamento del pianeta. Sono accadute cose inaudite. Per quella che ai perugini è potuta sembrare la prima volta nella storia (chissà se lo è per davvero!) la città ha ripetutamente figurato nell’elenco delle città più calde d’Italia, qualche volta addirittura superando in questa classifica del peggio Roma, Firenze e Bologna, cioè quelle da sempre assurte, nell’immaginario collettivo, a simbolo del caldo torrido di  agosto. E, udite! udite!, a Perugia è stato più caldo che a Terni.

   Non c’è cosa peggiore, per un essere umano o per una comunità di esseri umani, che perdere le proprie certezze. Non avere più solidi ancoraggi crea disagio e propone interrogativi che, inconsapevolmente, dalle cose più banali ed “esterne” al proprio essere, possono finire per investire la soggettività profonda o l’”identità” dei singoli e dei gruppi. I perugini erano convinti di vivere, dal punto di vista climatico (inverni freddi ma asciutti ed estati “fresche”), una condizione di privilegio, migliore auspicio possibile per una buona salute e la conseguente speranza di lunga vita. Era uno dei pregi riconosciuti alla città, componente della qualità della vita che, insieme alla protezione sociale, le sperimentazioni in vari campi e persino ad una certa qual audacia del pensiero pubblico e privato, li rendeva orgogliosi di vivere in una comunità piccola, ma invidiabile.

   Quest’estate, la tramontana ha ripreso a tirare. Speriamo che continui a farlo per alleviare la calura. E speriamo che torni a soffiare anche d’inverno, quando qualche volta può rappresentare una sofferenza. Ma, come scriveva un illustre perugino, critico e letterato, Walter Binni, la tramontana è un pò l’anima di questa città che è già molto cambiata e che, senza di essa, perderebbe un pezzo di se stessa. 

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