Di Giampaolo Ceci (Direttore del Centro Studi Edili di Foligno)

 

La collettività nazionale e i singoli cittadini si “stringono” attorno alle popolazioni colpite da calamità naturali per un umano senso di solidarietà o convincimento etico.

Questo è il motivo che “muove” le persone, ma lo Stato agisce come una persona?

Per capire le motivazioni per cui lo Stato decide di intervenire dobbiamo avere ben chiaro il concetto di Stato altrimenti il ragionamento “sfugge”.

Uno “Stato” non è altro che un'organizzazione politica che esercita la propria sovranità sulle popolazioni che si trovano sul suo territorio.

Tra i principi etici di uno stato c’è la solidarietà tra i cittadini, ma c’è anche quello dell’uguaglianza e dell’equità di trattamento.

Risponderebbe a un principio di equità, risarcire il ricco avvocato romano che ha perso la sua villetta di vacanza, prima di un senzatetto o di un terremotato del Belice che vive ancora in baracca?

Risponderebbe a un corretto principio di buon governo investire in una zona senza prospettive limitando le risorse ad altre con forti tassi di sviluppo?

Se così posta, la questione assume connotati diversi.

In verità non sono altro che i connotati propri di ogni “ SCELTA POLITICA”, che non può prescindere dal principio di equità e fredda razionalità, ma anche lungimiranza.

Nel caso degli aiuti, dobbiamo quindi domandarci quali siano le RAGIONI SOCIALI che giustificherebbero lo scavalcamento delle priorità, oltre a quella di determinare quale sia la soglia del contributo che poi farà carico a tutti gli altri cittadini (risarcire una casa vecchia come nuova, ha senso ….). E’ giusto?

Può sembrare cinico, ma uno Stato è un’entità razionale che non può, né deve agire emotivamente, se non vuole non essere ritenuto “ingiusto” da chi è svantaggiato da scelte di priorità che lo penalizzano.

La scelta politica che si prospetta in questi casi non è facile, perché tutti si attendono: TUTTO.

Dei buoni motivi per giustificare le scelte politiche sarebbero, la tutela della particolare valenza storico culturale paesaggistica dei luoghi colpiti dalla calamità.

La presenza di un forte tessuto produttivo rappresenterebbe un altro buon motivo.

La salvaguardia dell’unità socio culturale delle popolazioni colpite, un’altro ancora e poi bisogna anche tenere in conto delle potenzialità inespresse o delle eccellenze assopite, che potrebbero essere riattivate finalizzando sapientemente l’impiego dei contributi statali.

La scelta politica comunque non è facile se non la si affianca a quella della "solidarietà nella disgrazia" che pone a tacere ogni altra rivendicazione locale.

Bisogna, o forse dovrei dire si sarebbe dovuto, portare a sintesi tutto ciò in un PIANO STRATEGICO DI SVILUPPO che fornisse un chiaro orientamento per tutte le altre scelte che devono o che sarebbero dovute risultare compatibili e sinergiche con gli obbiettivi del piano.

Per fare tutto questo però bisogna avere ben chiaro quale sia il “progetto di sviluppo”:

Limitare l’azione alla mera ricostruzione delle sole case, sarebbe un disegno politico riduttivo perché senza prospettive. Le case ricostruite resterebbero vuote!

Promuovere Norcia, Cascia o Amatrice come terra di turismo religioso o enogastronomico? Promuovere il turismo per i popoli del nord Europa cerando una comunità specializzata che parli la loro lingua ? (N.B. Per noi le temperature “invernali” sono come quelle estive della Norvegia!!)

Promuovere allevamenti specializzati (che producano carne ed energia col biogas) o il biologico o la buona cucina? Ricostruire Amatrice come area tematica come se fosse un vero villaggio del 1300 o del 1500?

La fantasia corre…. Basterebbe frugare nelle vocazioni storiche dei vari territori per scovare quelle “naturali” per ciascuno di essi, magari innovandole un po’ alla luce dei nuovi orizzonti culturali dettati dalla globalizzazione.

O forse basterebbe solo dare maggior spazio a chi tra le popolazioni coinvolte ha progetti imprenditoriali e assisterlo per realizzarli.

Saranno proprio i vari piani strategici di sviluppo che consentiranno di favorire la concessione dei contributi pubblici per chi si adeguerà o addirittura finanziare quegli imprenditori che proponessero piani collaterali, purché coerenti con le finalità del progetto di sviluppo locale (case, alberghi, case-vacanze, ostelli?) Stalle di bovini o di suini, avicunicoli?

Si apre un secondo fronte: quello delle modalità tecnico urbanistiche delle ricostruzioni.

L’annoso dilemma si ripresenta: recupero del vecchio se non del fatiscente? O promuovere il nuovo, il moderno e tecnologicamente avanzato e antisismico, seppure rispettoso delle tipologie tradizionali della storia di quei luoghi? Perché congelare l’architettura in un’anacronistica gabbia del tempo?

Rattoppare il vecchio é saggio? O non sarebbe meglio favorire il rinnovo del tessuto abitativo come si è sempre fatto nei secoli passati, per migliorare il confort dei residenti e il contesto urbano, lasciando contemporaneamente un segnale ai posteri della cultura contemporanea?

Gli architetti e gli ingegneri di oggi possiedono le necessarie competenze e sensibilità o vanno istruiti se non addirittura controllati da chi invece le possiede?

Resta senza risposta la domanda di fondo: Ma ….a tutt'oggi, per le zone colpite dal sisma, quale é il piano strategico di sviluppo?

 

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