di Giovanni Simoncelli

Foligno, 18 settembre – La richiesta referendaria dell’abbattimento del numero dei deputati e dei senatori quali rappresentanti dei cittadini elettori e depositari della sovranità nazionale della Repubblica è l’ennesimo attacco che le élite sociali ed economiche portano allo stato democratico moderno nato dopo gli orrori, le stragi e le catastrofi della 2° guerra mondiale. All’inizio del ‘900, appena 100 e pochi anni fa, vigevano ancora i governi della nobiltà e della ricca borghesia, che ponevano estrema cura a tenere lontano dal potere la popolazione di censo e di classe sociale più bassi, e infatti la nostra Costituzione conta appena 70 anni. Il suo valore sta nel fatto che vengono applicati nella forma e nelle Istituzioni dello Stato i principi illuministici e rivoluzionari del 1789, che sanciscono i diritti di uguaglianza, di libertà e di fraternità, che nei tempi moderni con un termine più laico si dice solidarietà. Con l’applicazione della Costituzione in appena mezzo secolo è stata fatta una evoluzione storica e di civilizzazione e di emancipazione della Penisola che non accadeva da oltre 500 anni, cioè dall’età dell’Umanesimo. Siamo riusciti a risorgere dalle macerie materiali della guerra e da quelle ideologiche del fascismo, e in appena 40 anni – dal 1945 al 1985- la nostra Nazione divenne la IV/V potenza mondiale, sia sotto l’aspetto intellettuale e culturale che sotto quello economico. Poi è accaduta la decadenza che è cominciata non appena sono state portate delle modifiche alla Costituzione. Negli ultimi 30 anni abbiamo toccato con referendum l’equilibrio politico e Istituzionali e sono sorti dei danni incalcolabili.  Come quando fidandoci dell’indirizzo dei politici nel giugno del 1989 fu conferito, con l’88% di SI al Parlamento europeo un mandato costituente, elidendo in parte la nostra sovranità nazionale e quella parlamentare;  come quando nel referendum del 9 e 10 giugno 1991, con il 94,5% di SI, gli Italiani (che secondo Craxi sarebbero dovuti andare al mare) decretarono che fossero cancellate le preferenze sulle schede elettorali, lasciando ai soli partiti  di scrivere il nome di chi dovesse essere eletto e contemporaneamente indicarono l’introduzione del sistema maggioritario nelle elezioni, piuttosto che mantenere quello proporzionale, che era stato deciso e scritto dai Costituenti; come quando nell’ottobre 2001 fu modificato, con il 64% di SI, il titolo V, che derubricò l’autorità centrale dello Stato, portandola paritaria a quella delle Regioni, e quindi spaccando l’unità nazionale che azzerò la rappresentanza politica degli eletti nei Consigli Comunali, Provinciali e Regionali, togliendo l’importanza istituzionale alla loro elezione e ai voti su di loro incanalati, ma assommando al solo Capo dell’assemblea l’autorità e il potere politico; e infine che sconvolse i rapporti e i diritti del lavoro nel pubblico impiego, facendo arenare la macchina burocratica. A forza di essere manomessa, benché nei principi portanti resti ancora la stessa, la Costituzione nella sostanza è mutata e ci ritroviamo in un sistema istituzionale che si sta imballando.  Come è possibile notare, quello che è stato colpito nella sua sostanza politica e nella sua sostanza legale è il valore del voto, libero uguale e universale: ogni testa un voto e con lo stesso peso, quale diritto soggettivo e dal quale si emana il diritto di cittadinanza e quale strumento fondante della democrazia parlamentare.  Ora con questa proposta di tagliare il 36,50% dei rappresentanti del popolo nel parlamento, si porterà un colpo mortale alla impalcatura statuale nata dalla Resistenza e basata sul principio dell’uguaglianza. Si interromperà il cammino iniziato almeno 2 secoli fa di avvicinamento delle classi lavoratrici alle posizioni del potere. Tagliare i parlamentari significa portare l’antipolitica al potere, significa lasciare in mano a pochi il governo del Paese, significa che le poche centinaia di persone che potranno sedere in parlamento saranno  scelte con molta facilità fra i più fedeli e fra i più ricattati, e quindi saranno più facilmente controllabili, perché coloro che detengono la facoltà di fare accedere al Parlamento, cioè le segreterie dei partiti, le lobbies economiche, i boiardi di Stato, non avranno più contrappesi contendenti. La riduzione farà stabilizzare la casta, ed è una scelta contro il popolo. Avremo un ceto sociale governante e tutta la restante popolazione asservita. Avremo una oligarchia sempre più ristretta, verso la quale l’accesso sarà impossibile. Il parlamento, quindi, sarà più facilmente etero guidato. Ecco perché è già una difesa questa totalità numerica degli attuali 945 parlamentari e va fortemente mantenuta.  In effetti con il taglio del 36,50 % cioè con una diminuzione di 345 rappresentanti, che è una enormità, vengono cancellati il principio di rappresentanza e l’unione fra l’eletto e l’elettore che sono due dei criteri costituenti delle democrazie moderne. La proposta prevede il taglio di 230 seggi da 630 a 400 per la Camera dei Deputati e di 115 seggi, da 315 a 200 per il Senato.  Un parlamento così ridotto non potrà mai governare e rappresentare una società complessa come la società moderna, che è fortemente articolata e variegata sul territorio nazionale con bisogni e tradizioni diverse. Un parlamento così ridotto lavorerà in modo più superficiale, poiché gli eletti non avranno né il tempo, né la conoscenza sufficiente di affrontare i diversi e molteplici problemi depositati nelle commissioni legislative. Il parlamento composto di poche unità, che resta sede del potere legislativo farà leggi per tutti o farà leggi per pochi? Rispetterà il principio di uguaglianza e universalità erga omnes, oppure legifererà per alcuni ceti sociali a scapito di tutti gli altri? Già nella sua proposizione, questa riforma manifesta disuguaglianza nel rapporto del voto e cancella il diritto in capo ad ogni cittadino del principio di uguaglianza. Già si comincia a intravvedere che i voti non si conteranno più, ma si peseranno. Guardando più approfonditamente il taglio lineare del 36,50% rispetto al Senato abbiamo che:

In Trentino Alto Adige è del 14,28%
In Lombardia è del 36,50% 
In Friuli e in Abruzzo del 42,80%
In Umbria e in Basilicata del 52%
La Valle d’Aosta non ha nessun taglio, ma elegge il proprio senatore con metà dei voti delle altre Regioni

Già dal 2005 il popolo italiano non elegge più i propri rappresentanti, perché esautorato dal controllo dei candidati attraverso la preferenza, ma con questa legge costituzionale si va verso il definitivo affossamento di questa esperienza storica, dove anche le classi più basse hanno avuto il potere di contare nelle assemblee legislative e di controllare il processo legiferante. Infatti la vulgata del neoliberismo, alla quale si conformano tutte le classi dirigenti europee, vuole dominare l’attività dei parlamenti, dice che lo stato deve essere limitato nei propri poteri, e che la politica deve essere annullata perché fa danni, mentre gli unici elementi culturali e pratici di controllo e di indirizzo della società sono il mercato e la finanza.

I poteri forti dell’Europa auspicano la vittoria del SI. Dilaga la filosofia e il modello dell’homo oeconomicus, che vuole la svendita dei beni e degli Istituti che amalgamano lo Stato e lo rendono forte, la dismissione dei diritti universali e il progressivo scivolamento alla medievalizzazione delle relazioni sociali e lavorative. Con il taglio si riduce la rappresentanza, quindi anche la democrazia. Per esempio Augusto per governare in modo autocratico ridusse il senato da 900 a 600 senatori, scelti fra i più fedeli. Proprio perché queste sono le condizioni verso le quali siamo incamminati, votare NO significa ridare potere al popolo, ridare valore al Parlamento e bloccare ogni ipotesi di deviazione autoritaria.

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