Di Fausto Bertinotti
“Il ping pong disdicevole che Prodi continua periodicamente a riproporre, lo trovo francamente inutile, visto che nella sua ricostruzione non c'è alcun elemento di novità che favorisca un passo avanti nella riflessione su quella stagione politica".
Lo ha detto all'Adnkronos, Fausto Bertinotti commentando alcuni passaggi del libro "Strana vita, la mia" nel quale, Romano Prodi rievoca il turbinoso rapporto con Rifondazione comunista e con l'allora segretario Fausto Bertinotti nei 2 anni e 5 mesi del primo governo dell'Ulivo. "Quello che invece colpisce - ha aggiunto Bertinotti - è l'astiosità ma, soprattutto, l'errore interpretativo clamoroso che Prodi reitera e che impedisce di comprendere o, in qualche modo contribuire a mettere fuoco, le grandi contese politiche che contrassegnarono quella fase politica: l'Europa dell'euro, la redistribuzione dei redditi, le diseguaglianze sociali, la riduzione progressiva dei diritti del lavoro e del welfare o l'avanzare inarrestabile di un mercato senza regole". "Invece di parlare di tutto questo, Prodi continua a ridurre tutto ciò che avvenne a un conflitto personale, a una lotta di potere domestico, che tradisce un modo di intendere la politica davvero molto arido e angusto.

Prodi cerca di ammantarsi di tutte le virtù pubbliche, scaricando sui suoi oppositori tutti i vizi e descrivendoli, come nel mio caso, guidati da un'insaziabile ambizione".
Prodi - ha detto ancora l'ex leader di Rc - ammonisce che le 'scissioni portano male'. Ma chi conosce la storia del movimento operaio sa bene invece che con la scissione di Livorno nel gennaio del 1921 nacque il più grande partito comunista d'Occidente.
Diffonde l'immagine del buon padre di famiglia ma non regge, perché è stato proprio lui il 'coltivatore' della scissione di Rifondazione comunista con la quale pensò di salvare il suo governo. Ma il gioco, come abbiamo visto, non gli riuscì". "Mi colpisce molto che certe vicende, che hanno una loro importanza politica e che sono collegate in un certa misura alla storia dell'Europa e dell'Unione europea, ovvero alla possibilità che l'Italia, insieme alla Francia di Lionel Jospin, potessero temperarne il carattere liberista e filo capitalista che è alla base del Trattato di Maastricht, vengano fatte passare da Prodi come una misera contesa personale.

La contesa invece fu politica e io ne rivendico la paternità. Noi di Rifondazione rischiammo di esserne cancellati dal combinato disposto dell'odio prodiano e da un rigurgito neo staliniano della sinistra moderata". "L'invettiva e le imputazioni che ci vennero rivolte, di essere gli unici autori e colpevoli della caduta del governo Prodi, oscurarono ogni possibilità di riflessione politica su quello che accadde negli ultimi mesi di vita del primo governo Prodi. La discussione su quella fase politica è diventata stucchevole, lo riconosco, ma sento tuttavia il dovere di testimoniare per impedire che passi la vulgata 'pro domo Prodi'. Veniamo da anni tragici di austerity che adesso tutti denunciano, a partire da coloro che quelle politiche le hanno progettate, approvate e applicate".
 

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