PERUGIA - Venerdì 22 maggio, primo giorno d'apertura, a Perugia la movida al centro cittadino è stata caratterizzata da una scazzottata tra giovani la cui foto ha fatto il giro dei social cittadini, regionali e, credo, nazionali. Nonostante ciò la foto emblematica della disastrata apertura non credo sia quella, erano 7-10 persone a darsele di santa ragione e, se ci fossero state forze dell'ordine o vigili urbani, avrebbero smaltito l'eccitazione da qualche altra parte.

Emblematica è la foto nella quale si vede, in pieno centro cittadino, piazza Danti piena di auto che costringono le persone già in gran numero e senza protezione alcuna ad accalcarsi ancora di più ai lati.

È una fotografia simile a tante altre scattate in anni precedenti. Descrive bene l'italica e atavica scarsa memoria. Dimostra che tanti hanno dimenticato il motivo per il quale siamo stati isolati l'uno dall'altro in casa, i morti che ci sono stati e ci sono, i sanitari stremati negli ospedali e quelli morti, la foto terribile dei camion militari a Bergamo pieni di bare, i vecchi morti da soli negli ospizi.

Ci dice che la musica dai balconi, la solidarietà, Bella ciao, i saluti e gli abbracci da lontano tanti di noi se li sono buttati dietro le spalle.

Questo tempo di pausa forzata doveva servire alle persone accalcatesi nei centri delle città, a tutti noi e a chi amministra i nostri Comuni a pensare come avremmo vissuto nel dopo coronavirus, a immaginare un nuovo modo d'essere comunità.

Invece, e questo vale non solo per Perugia ma per gran parte d'Italia, il tempo pare essere passato invano, che non c'è la volontà di specchiarsi in quello che ora siamo nel tempo della pandemia, che si preferisce non pensare cosa potrebbe riservare il futuro e si vorrebbe che tutto tornasse come prima.

Ma questo non potrà accadere, perché già siamo un Paese più povero e più indebitato. Perché il coronavirus ha lasciato un graffio terribile nell'animo del nostro Paese. Una lunga scia di morti e tanto tanto dolore. E finché non incominceremo a elaborare come Paese e come singoli questo dolore collettivo rimarremo malati anche quando saremo senza virus.

Forse, la prima cosa da fare in Italia nel primo giorno d'apertura sarebbe stata, in ogni angolo d'Italia e alla stessa ora, fermarsi tutti per cinque minuti a pensare a quello che è successo e sta succedendo dentro di noi.

Vanni Capoccia

(Foto Umbria - La Nazione)

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