“Matteo Renzi, dimettendosi dalla Segreteria, con dignità sconosciuta a tanti altri buzzurri esponenti politici, ovviamente non ha partecipato.”, così il professore Mario Corbino in merito ai lavori della direzione del PD, in un suo recentissimo scritto. Se non ricordo male, Renzi disse che le dimissioni sarebbero divenute operative dopo la formazione del nuovo governo. Quindi fece capire a tutti, che voleva ancora essere lui il protagonista, il timoniere.

Poi qualcuno gli deve aver fatto notare che un capo politico, reduce da due cogenti sconfitte e con una miseria crescente nel Paese reale, i dati di Bankitalia che grida: “Cresce la povertà: uno su quattro a rischio. Al 5% dei Paperoni 30% della ricchezza”, parlano chiaro. Numeri, percentuali, che fanno capire anche alla casalinga di Voghera, che l’Italia non assomiglia affatto a quella della sua narrazione, “del tutto va bene”, devono averlo portato a prendere la decisione che è anche una prassi: le dimissioni diventano operative nel momento che si danno, non si temporeggiano.

Quello che però mi inquieta da vecchio militante, è l’atteggiamento di un gruppo dirigente che tutto intero, ha partecipato alla disfatta politica e elettorale del partito, che non si è minimamente preoccupato, della sua dissoluzione in atto da anni in tutto il territorio nazionale, che non solo non riesce a pronunciare la frase, “abbiamo sbagliato”, ma che, con sicumera fermezza teologica, ora dice “che non c’è altra strada che stare all’opposizione”. Cioè ritirarsi un’altra volta nell’Aventino. 

Così facendo favoriscono la propaganda degli avversari che seguitano a gridare la vulgata: “A noi gli italiani hanno affidato il compito di governare. Se il PD non ce lo permette, è contro la volontà popolare”. Nascondendo, con l’aiuto dell’atteggiamento del PD, il semplice fatto, che nessuno in questa tornata elettorale ha preso il 51%, tutti al massimo possono parlare per conto degli italiani che li hanno votati. 

Certo, che si sia consumato uno sommovimento politico destinato a scuotere dal profondo la politica italiana, non vi è dubbio. Se le cose stanno così e stanno così, obbligare tutti a giocare la partita a carte scoperte, è la sola cosa che ritengo utile e necessaria. Quindi entrare nell’arena politica dichiarando la nostra disponibilità al confronto per arrivare alla formazione del governo e mettendo sul piatto le nostre idee e proposte. Costringere tutti dinnanzi al Paese, a prendersi le proprie responsabilità. Questo non è un firmare cambiali in bianco, come invece vorrebbero Salvini e Di Maio. 

In Germania la Merkel, è stata costretta a rivolgersi agli altri gruppi parlamentari per fare il governo. Prima a quelli di destra, poi ai socialdemocratici, con i quali ha concordato un vero programma di governo. Una trattativa che ha portato al ministero delle finanze un socialdemocratico. Vorrei far notare un particolare di non poco conto. Gli iscritti all’SPD, sono stati chiamati a discutere e a votare l’eventuale adesione al governo. 

Quindi una discussione, un confronto politico vero, non come prospettano i nostri, nuove primarie. Una scelta che finirebbe per soffocare il dibattito politico di cui dentro al PD c’è tanto bisogno e buttarla in tifoserie. 

Il Pd ha necessità di discutere, perché da quando si è formato, non ha mai dibattuto seriamente i propri orientamenti in fatto di economia. Infatti i risultati si sono visti. Il successo di Renzi iniziale, è dovuto al fatto che i cittadini non ne potevano più di una Casta politica inconcludente e piena di agi. La sua idea di “Rottamazione”, affascino un po’ tutti. Ma alla Rottamazione, secondo loro, fece seguito ben poco. Ora si sono rivolti ad altri.

Renato Casaioli

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