PERUGIA - Il nuovo statuto della Regione Umbria, approvato con legge statutaria 16 aprile 2005, n. 21 e successive modificazioni ai sensi dell'art. 123, secondo comma, della Costituzione, prevede espressamente che i componenti della Giunta regionale siano nominati dal Presidente (eletto direttamente) che indica anche chi assume la carica di Vice Presidente (art. 63, comma 3). La norma statutaria è conforme alla norma costituzionale di cui all'art. 122, ultimo comma, secondo periodo, che nel testo vigente recita: "Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta". Solo il Presidente quindi ha questo potere e nemmeno "su proposta" di altri soggetti istituzionali o tanto meno partitici, e pertanto se la norma non fosse rispettata, come sembrerebbe dalle notizie di stampa, ci potremmo trovare di fronte  ad un regime di c.d. "partitocrazia" che è la degenerazione del sistema democratico di uno Stato o di una Regione.

Lo statuto regionale prevede che la Giunta è composta dal Presidente e da un numero di assessori non superiore a cinque e che il Presidente li può nominare sia tra i componenti dell'Assemblea legislativa (ex Consiglio regionale) sia al di fuori di essa, ma in quest'ultimo caso devono essere in possesso dei requisiti di eleggibilità  e di compatibilità alla carica di Consigliere regionale (art. 67, commi 2 e 3).

Il nuovo statuto regionale, nel testo vigente, non prevede alcuna incompatibilità tra la carica di assessore e quella di consigliere regionale. La norma che prevedeva tale incompatibilità, nel testo originario della legge statutaria,  è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 378 del 5 dicembre 2004 su ricorso del Governo nazionale (Berlusconi II) nei confronti della delibera statutaria approvata dal Consiglio regionale in prima deliberazione il 2 aprile 2004 e in seconda deliberazione il 29 luglio 2004 e che, tramite l'Avvocatura dello Stato (avv. G. D'Amato), aveva censurato, tra l'altro, l'art. 66, commi 1 e 2, nella parte in cui stabiliva tale incompatibilità in quanto  la norma appariva in contrasto con l'art. 122, primo comma Cost. che riserva alla legge regionale l'individuazione dei casi di incompatibilità nei limiti dei principi sanciti dalla legge statale.

Nonostante la suggestiva tesi della difesa regionale (avv. G. Falcon - distinzione tra incompatibilità "esterne" e "interne") per cercare di dimostrare l'infondatezza della censura, la Consulta l'ha invece ritenuta fondata e ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 66, commi 1 e 2 della predetta delibera statutaria e conseguentemente ha dichiarato illegittimo anche il comma 3 dello stesso articolo.

In assenza di una norma di legge regionale  che preveda l'incompatibilità tra le due cariche, dovrebbe essere evidente che nessuno ha il potere di pretendere o  imporre una regola analoga non scritta.

La perdita della qualità di membro dell'Assemblea legislativa regionale può avvenire solo per volontà dei singoli in caso di dimissioni, o per volontà del collegio in caso di accertamento della perdita di un requisito dell'elettorato passivo oppure di accertamento di una causa di incompatibilità o di ineleggibilità sopravvenuta con conseguente dichiarazione di decadenza o infine per causa di forza maggiore in caso di morte o impedimento permanente.  In un organismo di diritto nessuno può avere il potere di pretendere o imporre ai titolari di una carica istituzionale le dimissioni che sono appunto solo volontarie e non possono certo divenire il surrogato di un'incompatibilità non prevista  dalla legislazione regionale. Del resto, a ben guardare, anche lo stesso divieto di mandato imperativo di cui all'art. 57 dello statuto implica la garanzia della libertà del consigliere regionale non solo e non tanto dagli elettori, quanto piuttosto dai partiti o movimenti politici che li hanno candidati e con i quali sono comunque collegati.

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