Nelle epoche meno recenti, il corso della vita non condizionato dalle moderne diavolerie possedeva cadenze lente e ritmate tanto che il tempo, anche senza volerlo, prolungava il suo trascorrere perfino oltre se stesso.

Non si vuole, con l’assunto di cui sopra, rinnegare la proficua evoluzione delle scienze tecnologiche; al contrario, si vuole soltanto riportarle nella giusta dimensione di una trascendentale riumanizzazione delle stesse. Le macchine, anche le più progredite e le più strabilianti, sempre forgiate di sostanza inorganica rimangono e mai debbono essere poste a paragone con l’anima, di natura divina, e con la mente, di natura terrena, dell’umanità come persona.

Nel corso dei secoli, in molti hanno avvertito la portata storica di tale principio e, tra essi, per originalità di idee e per loro pratica applicazione si sono certamente distinti i monaci cistercensi.

Di fronte al dilagare del manicheismo materialista e alla secolarizzazione delle caste al potere, in particolare quella religiosa, riscoprirono nella regola Benedettina un efficace correttivo al caos ideologico e al marasma potestativo che stava inquinando le relazioni sociali e politiche di un evo che, buio fu, solo perché al cospetto del mezzogiorno rinascimentale, essendo stato esso stesso la sua aurora di rosso e celeste illuminata.

Ai Benedettini e ai Cistercensi dobbiamo le moderne tecniche di irrigazione dei campi, le colture intensive, lo sfruttamento civile e pacifico dell’energia eolica, la tradizione e la trascrizione amanuense dei testi classici con l’enorme patrimonio culturale in essi contenuto. Nella sostanza, in quel semplice “Ora et Labora” è racchiuso uno dei passaggi fondamentali nei tasselli della storia delle civiltà e, non a caso, nello stemma ufficiale dell’Università di Cambridge detto motto è riportato nella parte superiore mentre, nella inferiore e a suo corollario, è stampigliata l’iscrizione “Mens et Manus”.

Nella realtà contemporanea, più che di cistercensi mi sembra di intravedere la presenza di temerari circensi, pur con tutto il dovuto rispetto che va riservato a coloro che impiegano la loro vita nella animazione delle attività dei circhi equestri.

Acrobati e trapezisti, spesso e volentieri senza reti di protezione per sé e per gli altri, lanciatori di coltelli, mangiatori di fuoco, illusionisti e prestigiatori, giocolieri e domatori: il ventaglio è ampio e, in ognuno di essi, non risulta difficile poter inquadrare alcune delle figure che attualmente detengono il potere di governare e indirizzare i destini futuri del nostro popolo e delle singole comunità che lo compongono.

Mi sovviene alla memoria un’opera cinematografica degli anni sessanta dal titolo “Gli onorevoli”; ebbene, in uno degli episodi, viene rappresentata la candidatura di un ingenuo che doveva fungere da “specchietto per le allodole” e poi, una volta ottenuta l’investitura, sarebbero intervenuti i predatori della politica a ottimizzare i loro, e solo i loro, interessi a danno dei “fessacchiotti e dei creduloni”.

Che ve ne pare?. Non è così anche ai giorni nostri?!?...

Se oggi conviene ed è opportuno assumere una linea di condotta e, dopo nemmeno mezza giornata, cambia il clima delle proprie opinioni dettato dalla bussola del tornaconto e del calcolo di stretta parzialità, non vi è purtroppo più da scandalizzarsi se viene operata una inversione di marcia in dispregio alla coerenza e alla consequenzialità dei comportamenti.

Di “Rigoletti”, in circolazione, se ne vedono a bizzeffe; non esiste però circo, anche il più sgangherato, che non abbia il suo pagliaccio. Neil Sedaka cantava che i capricci sono come i pagliacci: sulle prime suscitano ilarità, ma alla lunga infastidiscono perché lo scherzo è gradevole solo se dura poco.

E il tempo per scherzare è ormai consunto e scaduto. Questo, molto bene lo sappiamo tutti e, nel mentre chiedo venia e misericordia agli Orfei e ai Togni e ai Medrano, non posso che auspicare un responsabile sussulto di orgoglio e di amor patrio accompagnato da un velato sorriso, tanto per non piangere sulle disgrazie di un popolo asservito più che servito.

Mario Tiberi

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