Se si potesse scherzare su vicende gravi, importanti e persino drammatiche, si potrebbe scrivere “oggi in Francia, domani in Italia”. Le prossime elezioni legislative in Francia portano il segno della novità politica della discontinuità con i decenni trascorsi. La sinistra, guidata da Jean-Luc Mélenchon, può vincere in proprio, da sola, il confronto elettorale. Qualcuno un po’ in là negli anni ricorderà la stagione del primo Mitterand. Altri tempi politici… addirittura tempi che hanno preceduto il periodo del centrosinistra al governo contemporaneamente in tutti i principali paesi europei e che vengono dopo quello della sconfitta e della marginalizzazione delle sinistre, il tempo segnato dal conflitto tra un neocentralismo tecnocratico e le varie espressioni politiche dei populismi.

Si va in Francia alle prossime elezioni legislative dopo quelle presidenziali vinte da Macron in una rivisitazione della contesa più classica, quella tra la sinistra, il centro e la destra. In una società, come in tutta Europa, radicalmente mutata rispetto a quella del ciclo fordista, taylorista, keynesiano, ormai irrimediabilmente alle nostre spalle. Così un classico diventa ormai un inedito. Struttura, rapporti sociali, assetti internazionali, soggettività e culture, con quelle del nuovo tempo, quelle dettate dal capitalismo finanziario che si è mangiato tanta parte della democrazia e della politica, danno il segno dei tempi. È in questa cornice che ci è propria che si affaccia in Francia questa rilevante novità politica. Mélenchon la caratterizza già, in primo luogo, lui medesimo, candidandosi a premier, a capo del governo. Secondo il canone sarebbe il candidato di una sinistra che da noi si è chiamata radicale, per dire molte cose di sé, ma in primo luogo che si collocava fuori dal perimetro del centrosinistra.

Qui, in Francia, con la proposta di Mélenchon dice una cosa in più, dice che questa nuova soggettività politica è collocata sia contro la destra che contro il centro. È una sinistra che costituisce e vuole costituire un’alternativa ad entrambe, seppure diversamente, com’è giusto che sia, della sinistra. La candidatura di Mélenchon a premier ne è un indicatore preciso. Il punto di rilievo ora è che la candidatura dell’alternativa è davvero realistica, attendibile, e che la partita è proprio aperta. Lo conferma anche la reazione suscitata dal mancato conseguimento del ballottaggio finale per le presidenziali da parte di Mélenchon. Una reazione come se fosse stato sottratto loro il voto, una sottrazione da un risultato che invece si sarebbe dovuto dare concretamente. È evidente che non si è trattato di questo, che non si è trattato di un furto, ma la percezione conta. Del resto, si è affermata l’idea che il vero vincitore delle presidenziali sia stato proprio Mélenchon.

Dopo quel grande risultato elettorale, Mélenchon ha tessuto la tela delle alleanze con risultati pieni, essendo stata conseguita l’alleanza con i Verdi, con i comunisti, con i socialisti. Il movimento politico che si costituisce così per affrontare la competizione elettorale ha la calca della vittoria possibile e può affrontare le elezioni direttamente e in proprio, configurando così una vera e propria alternativa alle forze della destra e ai moderati, un’alternativa di governo. Glielo consente l’accumulo di forze messo insieme nella società francese, che è la condizione necessaria per ogni intrapresa politica di qualche rilievo. La France Insoumise lo ha fatto anche direttamente penetrando nel conflitto tra il basso e l’alto della società, contestando le politiche dei governi e attaccando a fondo le élite, assumendo pienamente e totalmente il “contro” anche a rischio di qualche sgrammaticatura rispetto a un pensiero critico più costruito e organico. Ma l’accumulo di forze, il processo di formazione di una cultura critica di massa sono passaggi indispensabili alla costituzione di una soggettività politica influente nella società e nelle istituzioni.

Mélenchon ne è stato il protagonista e ora può metterlo a frutto in una competizione elettorale che non sono pochi quelli che la considerano la più importante tra tutte, presidenziali comprese. Parallelamente, e del tutto autonomamente dalla politica e dal concerto istituzionale, la società civile francese ha vissuto fasi assai importanti e significative del conflitto. Solo una lettura politicista non ha saputo vedere il peso che i movimenti hanno esercitato nella realtà economica e sociale e nella rottura critica dei processi in atto nel Paese. Va assolutamente sottolineata l’autonomia di questi movimenti che è stata del resto così rilevante da impedire che alcun partito politico se ne potesse appropriare quandanche lo avesse fiancheggiato e ne avesse partecipato direttamente. Le reiterate, numerose, assemblee a Place de la Concorde degli studenti hanno lasciato un segno, ma è stata la lotta dei gilets jaunes a non lasciarsi svuotare né dal trascorrere del tempo, né dalla distanza ostile delle classi dirigenti e delle istituzioni nei suoi confronti.

Il movimento è nato nel novembre del 2018 contro l’aumento del prezzo del carburante. Esso nasceva sulla diagonale povera, quella che va dalle Ardenne ai Pirenei atlantici, attraverso regioni che si stanno spopolando dove la mobilità è indispensabile alla vita. Ma il movimento ha raggiunto presto dalla diagonale il centro del paese, occupando Parigi. E lì si è insediato, per un lungo anno intero, il sabato a Parigi è stato del movimento dei gilets jaunes. Le loro rivendicazioni sono cominciate dalla richiesta di un aumento drastico del salario minimo per affermare così la centralità della lotta alla diseguaglianza. Ma ancora di più la democrazia diretta che è vissuta con una straordinaria ricchezza di esperienze nei rond-point, quella che è stata chiamata delle “assemblee dei cittadini”, ha messo sotto critica proprio quell’economia dei flussi e degli scambi che della diseguaglianza è la causa prima.

La denuncia di Macron come le premier ministre des riches non è stata quindi un’invettiva, essa chiedeva la messa in campo di una contestazione di massa al capo del governo e alle sue politiche. Lo puoi anche poi dover votare a presidente della Repubblica, ma quei movimenti e quella della scelta di far vivere una sinistra in proprio hanno continuato a scavare e ora riemergono per rivendicare un’alternativa di governo. Anche chi come me dubita delle possibilità in questa fase storica e in Europa di dar vita a dei governi del cambiamento non può non considerare con estremo interesse la sfida di Mélenchon. La coabitazione che prenderebbe corpo della sua vittoria tra il suo governo e il presidente della Repubblica Macron non sarebbe certo un’esperienza facile, eppure costituirebbe una chance.

Si voterà nelle elezioni legislative su due turni, con il ballottaggio tra i candidati del primo che abbiano superato 12,5% degli aventi diritto al voto, dunque una soglia altissima. Diversamente dalle presidenziali peseranno anche i notabilati locali che in quella non hanno sorretto i socialisti e i gaullisti pressoché cancellati dal mondo. Ma i sondaggi di questi giorni sui leader danno per intero il senso della sfida e del suo carattere del tutto aperto. In esse, Mélenchon è dato come primo con il 35% dei consensi, dietro a lui Macron con il 25% e Le Pen al 20%. Se fosse così, Mélenchon andrebbe al ballottaggio pressoché in tutti i collegi e con significative possibilità di successo. La Francia si affaccerebbe allora su un Parlamento che potrebbe restituire al Paese il senso di una svolta largamente richiesta. Indubbiamente siamo di fronte a una novità rilevante.

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