Il 5 novembre 2024 la gente della costa occidentale è andata a letto sapendo che Donald Trump aveva vinto sia il voto popolare che i voti elettorali in cinque dei sette Stati considerati fondamentali per una vittoria, abbastanza per conquistare almeno 270 collegi elettorali e garantire la sua elezione. Alla conta dei voti nei giorni successivi Trump è emerso con un convincente numero di 312 collegi elettorali contro i 226 di Kamala Harris.

Trump alla fine ha vinto in tutti gli “Stati in bilico”: Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, Pennsylvania, Wisconsin e North Carolina. Nel 2020 Biden aveva vinto in tutti questi Stati, tranne il North Carolina.

A differenza del 2016, Trump ha vinto anche il voto popolare che aveva perso contro Hillary Clinton. Quell’anno ha potuto solo rivendicare la vittoria nel collegio elettorale, una caratteristica della Costituzione degli Stati Uniti progettata per dare agli originari Stati schiavisti del Sud un “muro di protezione” elettorale contro una potenziale “tirannia” della maggioranza.

Nel 2020, 81 milioni di persone hanno votato per Biden. Harris ha ricevuto solo 74 milioni di voti contro i 76 milioni di Trump, il che dimostra un calo significativo dell’affluenza alle urne per la lista democratica. Gli elettori non erano entusiasti degli anni di Biden e, come vicepresidente, Harris è stata svantaggiata dal giudizio sull’operato del presidente uscente.

Il movimento sindacale, con alcune eccezioni di rilievo (i Teamsters e l’East Coast Longshore Union), è entrato in campagna elettorale schierandosi direttamente dalla parte della candidatura presidenziale di Harris e Walz. I leader sindacali hanno sostenuto che, sebbene Harris non fosse una forte sostenitrice dei lavoratori, l’alternativa sarebbe stata un duro colpo alla recente impennata della sindacalizzazione e delle vertenze contrattuali militanti.

 

Un fronte unito da Cheney a Chomsky

La maggior parte della sinistra ha riconosciuto che si è trattato di un momento di “fronte unito”, con un’alleanza che si estendeva dalla repubblicana Liz Cheney, acuta critica di Trump, a Noam Chomsky, importante intellettuale di sinistra. Descritto come “Block and Build” “Blocca e Costruisci”, il nostro sforzo era quello di bloccare Trump, fornendo al contempo uno spazio politico per sconfiggere le politiche filo-israeliane degli Stati Uniti. A posteriori, la campagna di Harris ha visto troppa “Cheney” e non abbastanza “Chomsky”. O meglio ancora, non abbastanza Shawn Fain, il leader carismatico degli United Auto Workers (Uaw), che ha notoriamente etichettato Donald Trump come “crumiro” alla Convention democratica lo scorso agosto.

I conteggi dei voti rivelano che il voto delle famiglie operaie è stato simile, o migliore, della vittoria di Biden del 2020. I membri del sindacato sono rimasti stabili al 55% nel loro sostegno ai Democratici. Ma nell’analisi finale, il numero più importante è il 6 per cento. Questa è la percentuale della classe operaia sindacalizzata nel settore privato. Rispetto al 1955, quando i sindacati rappresentavano il 35% del settore privato, questo declino è la migliore spiegazione della fine dei Democratici. Il gran numero di famiglie della classe operaia senza alcun collegamento con una forza ideologica di contrasto, ha reso gli appelli demagogici di Donald Trump convincenti. È un maestro nello spiegare l’incertezza e l’insicurezza attaccando l’“altro”, in questo caso gli immigrati.

La campagna del Partito Democratico ha riposto le sue speranze di vittoria nell’indignazione per l’eliminazione del diritto all’aborto da parte della Corte Suprema nominata da Trump, e nel suo sfacciato sostegno al tentativo di bloccare la transizione pacifica il 6 gennaio 2021, quando i suoi sostenitori hanno preso d’assalto il Campidoglio. Ma ovviamente i sondaggi hanno invece mostrato che la preoccupazione principale nella mente degli elettori era l’economia, con un’indicazione da parte di circa il 37% degli intervistati. Questo fattore si è riflesso nei significativi spostamenti verso Trump, rispetto al 2020, tra gli uomini neri e latini.

 

Sanders sui democratici e la classe operaia

Il presidente Biden è rimasto in corsa per la presidenza così a lungo che è stato impossibile tenere delle primarie democratiche per selezionare un candidato successore. Invece Harris è stata “benedetta” dalle élite del partito. L’assenza di primarie ha messo da parte le tanto necessarie prospettive progressiste su disuguaglianza economica, cambiamento climatico, edilizia abitativa e posti di lavoro. Ciò ha reso sicura la presa della classe dei miliardari su entrambi i partiti politici.

Il senatore Bernie Sanders, le cui campagne per le primarie nel 2016 e nel 2020 hanno elettrizzato gran parte della classe operaia, ha riassunto il dilemma dei democratici nel suo resoconto post-elettorale: “Non dovrebbe sorprendere che un partito che ha abbandonato la classe operaia si ritrovi abbandonato dagli elettori della classe operaia”. Sanders ha comunque chiaramente compreso il pericolo di Donald Trump, e ha fatto una campagna vigorosa per Harris.

Sebbene Harris abbia difeso a volte in modo eccessivo l’operato di Biden, pochi nel mondo del lavoro si facevano illusioni sul fatto che lei avesse un forte impegno per un programma sindacale. Durante la campagna elettorale ha trascorso più tempo con Cheney e il miliardario Mark Cuban che con i leader sindacali. Suo cognato è l’avvocato Tony West, consulente generale di Uber e architetto dei suoi diabolici attacchi ai diritti dei lavoratori e dei sindacati per gli autisti comandati dalle piattaforme informatiche.

Un numero enorme di volontari progressisti e sindacalisti è stato schierato negli Stati in lotta per sostenere il movimento “Block and Build” dietro la Harris. Tuttavia questi sforzi non hanno avuto successo nel mantenere ai Democratici la Casa Bianca o il Senato. E i Repubblicani manterranno il controllo della Camera dei rappresentanti, dando all’estrema destra il controllo della Camera, del Senato, della Presidenza e forse delle future nomine alla Corte Suprema.

Il movimento operaio dovrà raccogliere la sfida di un’amministrazione determinata a servire i miliardari e ad indebolire la forza crescente del lavoro organizzato. La consigliera generale del National Labor Relations Board, Jennifer Abruzzo, sarà probabilmente la prima persona licenziata dopo l’insediamento di Trump il 20 gennaio 2025. I lavoratori che cercano un percorso verso un sindacato e la contrattazione collettiva affronteranno tempi molto più duri nei prossimi quattro anni.

Di particolare importanza sarà il compito di difendere gli immigrati dalle minacce di deportazione di massa. Nel 1994, trent’anni fa, il movimento dei lavoratori si è levato in difesa degli immigrati in California, forgiando un’alleanza latino-laburista che ha plasmato per sempre la politica della California, e reso il Golden State il bastione democratico “più blu” d’America. Allo stesso modo, nel 2003 i sindacati hanno sponsorizzato l’Immigrant Workers Freedom Ride, che ha contribuito a far rivivere un movimento per i diritti dei lavoratori immigrati.

Il futuro del lavoro statunitense, in particolare nei settori agricolo, della trasformazione alimentare e delle costruzioni, è nelle mani di una classe operaia in gran parte immigrata e multirazziale.

 

traduzione di Leopoldo Tartaglia

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