il «summit dei vaccini», si è aperto ieri a Carbis Bay, in Cornovaglia con la presenza dei leader dei 7 paesi più industrializzati del mondo occidentale (Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania, Usa, Canada e Giappone), più la rappresentante della Commissione europea e gli invitati, Australia, Corea del Sud, Sudafrica e India (via video). La prima mossa è stata all’insegna della carità: i ricchi promettono un miliardo di dosi di vaccini anti-Covid ai poveri (quando ce ne vorrebbero 11 miliardi per raggiungere una protezione vaccinale efficace a livello mondiale).

Dove sono le vaghe le promesse di levare i brevetti, malgrado il voto all’Europarlamento questa settimana, l’impegno che sembrava avere in mente il presidente Usa e le ondivaghe affermazioni di Macron? Joe Biden, al suo primo G7, impegna gli Usa per 500 milioni di dosi, ma frena sui tempi (200 quest’anno, le altre il prossimo), mentre il problema è affrontare la pandemia adesso, senza attendere, per sconfiggere le varianti, mentre si deve anche tener conto della logistica, impossibile in molti paesi per i vaccini made in Usa Pfizer e Moderna. Al ritmo attuale, ha fatto presente Oxfam, ci vorrebbero 57 anni per i paesi a basso reddito per raggiungere il livello di vaccino dei paesi del G7. Per accelerare, un passo importante è la levata di tutti i blocchi all’export (restrizioni imposte da alcuni paesi del G7, Usa e Gran Bretagna). L’altro passo è il trasferimento di tecnologia, per permettere di produrre vaccini nei paesi emergenti e farli uscire dalla dipendenza attuale. A tutt’oggi in Africa è stato somministrato il 2% delle dosi complessive del mondo, ma il G7 ritiene possibile arrivare a un 60% di vaccinati nel continente tra un anno (è l’obiettivo dell’Unione africana). La Gran Bretagna, che per il momento non ha esportato nessuna dose, ne ha promessi 100 milioni.

La Francia ha ricordato di aver già donato 800milioni di dosi, quasi tutte AstraZeneca, Macron ha affermato che ormai gli africani «credono solo alle dosi che arrivano». La Ue ricorda di essere il primo finanziatore di Covax (solo 82 milioni di dosi a 129 paesi), di aver già esportato 329 milioni di dosi, il 50% circa di quelle prodotte e dovrebbe produrne un miliardo entro fine anno e esportarne la metà. Al di là di Covax e del programma Act-A, resta la questione del prezzo: Pfizer, Moderna, Johnson & Johnson a maggio hanno promesso di fornire 3,5 miliardi di dosi a prezzi di costo o contenuti (1,3 miliardi quest’anno), ma per il momento si nota che i paesi poveri sono a volte stati costretti a pagare fino al doppio del prezzo negoziato dalla Ue. Il G7 unisce la sua voce alla richiesta di un’inchiesta mondiale sulle origini del Covid, con forti sospetti su un laboratorio cinese.

Le riunioni un po’ surreali del G7 sono propizie a discorsi altisonanti e alle belle parole. L’ospite Boris Johnson affronta i leader dei grandi paesi europei e la Commissione che non ha fatto che criticare negli ultimi anni (con cui si sono acuiti gli scontri, a cominciare da Nord Irlanda e pesca), mentre cerca un’intesa «atlantica» con gli Usa, ma per il momento il solo accordo commerciale post-Brexit della Gran Bretagna è stato con il Giappone (ottobre 2020). Ha aperto il summit evocando le «enormi possibilità» per la lotta contro il riscaldamento climatico, altro argomento centrale del G7 dopo i vaccini e i grandi equilibri politici tra i blocchi mondiali. Una ricostruzione post-Covid, per Boris Johnson, «più verde, più giusta, più femminile».

Sul clima, l’obiettivo è preparare la Cop26 di Glasgow, a novembre: parte dell’occidente vorrebbe convincere gli altri paesi a seguire una traiettoria a favore della riduzione di Co2, ma forti divergenze indeboliscono il suo fronte d’attacco, visto che ci sono forti critiche su misure come la carbon tax alle frontiere (per il primo ministro australiano, Scott Morrison, è «solo protezionismo sotto un altro nome»). Alla crisi climatica sarà dedicata la seconda giornata del summit, oggi, ma già ieri ci sono state manifestazioni di protesta, da Greenpeace a Extintion Rebellion.

Gli europei si sono riuniti prima di incontrare i partner extra europei (Gran Bretagna, Usa, Canada e Giappone), per avere un fronte unito sulla Cina: Biden intende approfittare dell’incontro di Carbis Bay per una riconquista dell’ovest, cercando di convincere gli alleati Nato (che si incontreranno al vertice a Bruxelles lunedi’) a intraprendere la strada di una nuova guerra fredda. La Ue frena. Oltre ai numerosi bilaterali in Cornovaglia, Angela Merkel è inviata a Washington il 15 luglio, per spianare le tensioni tra Usa e Germania. Macron ha affermato prima di arrivare al G7 che «non possiamo accettare di tornare alla grammatica della guerra fredda». La Ue ha dichiarato la Cina «rivale sistemico», ma non è convinta che la Nato sia lo strumento adatto per affrontare Pechino: «secondo me, la Cina non fa parte della geografia atlantica – ha detto Macron – oppure la mia carta è sbagliata».

 

il manifesto 12.06.2021

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