La Usl non chiama.
Il bambino è positivo, la scuola è stata allertata, la quarantena è disposta dal buon senso e dal senso civico, perché la Usl non chiama, non ha chiamato e chissà quando chiamerà. La quarantena dei compagni di scuola è un'ipotesi, perché se la Usl non chiama almeno un bambino su tre uscirà di casa come se niente fosse, e starà con la babysitter o con i nonni, e i genitori, senza un cenno dalla Usl, continueranno ad andare al lavoro. Il padrone non ha orecchie per il buon senso e per il senso civico, il padrone se ha un foglio della Usl stringe i denti e bestemmia, se non ce l'ha mentre ti dice di continuare a fare il tuo nemmeno ti guarda in faccia. Il tampone di conferma no, il tampone di fine quarantena tra dieci, dodici, quattordici giorni, se la Usl chiamasse sapresti quando e sapresti dove, e sapresti che differenza di tempi e di modi c'è tra un bambino positivo e un adulto vaccinato e un adulto che deve andare a lavorare. I tamponi privati a sessanta o cento euro non ci sono più fino a dopo Santo Stefano, i laboratori privati sono in sovraccarico, come lo sono le loro casseforti private. Quattro ore di fila per chi riesce a farsi prescrivere un tampone al drive through, sei ore di fila, al freddo con un bambino positivo o forse no, al freddo con un anziano negativo o forse no, sette ore di fila in macchina il giorno prima o il giorno dopo di Natale, al freddo. Una sola postazione per i tamponi pubblici in città, mille nuovi positivi al giorno in questo sputo di regione, la Usl non chiama, in attesa della sua chiamata decine e centinaia e forse migliaia di bambini e adulti che sarebbero dovuti rimanere in casa se ne vanno in giro a giocare e lavorare insieme a gente ignara o incauta o impotente. Il sistema è in tilt, ammette chi comanda e chi governa, perché siete troppi, troppi con la certezza o il dubbio di essersi presi il virus, la Usl non vi ha chiamato e non è detta che vi chiamerà, sappiamo che è triste e doloroso ma non ci sono dubbi sul fatto che le cose stiano esattamente così. Non arriviamo a scusarci per il disagio, dicono i governanti, perché scusarsi è un segno di debolezza che non ci possiamo permettere e perché il disagio in fondo, come la tristezza e il dolore, fa parte della vita. Non arriviamo a scusarci per il disastro, dicono, perché il disastro è un prezzo che paghiamo al rischio che ci siamo presi quando abbiamo deciso di scommettere sul ritorno alla vita di prima e di sguarnire la prima linea di difesa contro un virus a cui francamente nessuno di noi e di voi aveva più voglia di pensare.
La Usl non chiama, non ha chiamato e forse non chiamerà. Siamo tutti in ostaggio, siamo tutti parte del disastro, siamo tutti in attesa di un tampone e del momento in cui chi ci ha messo in questa situazione finalmente la pagherà.
 

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