UNA SVOLTA PIÙ APPARENTE CHE REALE
di Simone Bartoli
Ho avuto modo di ascoltare tutta la Relazione all’Assemblea Nazionale della neo-Segretaria del PD Elly Schlein. Un discorso lungo, pieno di retorica e ringraziamenti. Molto rivolto all’interno e molto meno all’esterno. Certo, ci sono stati passaggi interessanti, volti a prefigurare un cambio di passo del PD quanto mai necessario. Sicuramente sui diritti civili e anche sulle questioni sociali: salario minimo e legge sulla rappresentanza sindacale mi sembrano gli elementi più qualificanti, insieme alla annunciata battaglia per l’eliminazione delle centinaia di forme contrattuali atipiche.
Eppure, rimane la sensazione che la svolta sia molto più apparente che reale. Provo a spiegarne le motivazioni, cercando di motivare concretamente quello che erroneamente potrebbe essere considerato come un pregiudizio. Anzitutto ritengo che Schlein non possa cambiare il PD perché incarna, meglio di chiunque altro e più di chiunque altro, financo di Bonaccini, il PD stesso, quel progetto politico cioè presentato nel 2007 al Lingotto di Torino da Walter Veltroni. Un partito post-ideologico, un partito leggero, un partito scalabile.
E che cosa c’è di più post-ideologico, leggero e scalabile di una Segretaria che si candida alla carica lo stesso giorno che si iscrive al Partito. Schlein non ha la solidità culturale e politica dei suoi predecessori, Bersani o Zingaretti, ad esempio. Ideologicamente, se così si può dire, è una radical americana che infatti si è formata politicamente nelle campagne elettorali di Obama. É certamente espressione di un partito leggero, tanto che gli iscritti chiamati al voto le avevano preferito un altro Segretario; ma soprattutto rappresenta la possibilità di scalare il PD.
Il fatto che un partito sia scalabile non è necessariamente un aspetto positivo. Almeno non lo è per me. Ciò significa che agenti esterni, gruppi di potere, forze economiche, possono impegnarsi per cambiare l’orientamento delle decisioni legittimamente assunte dagli iscritti. E dispiace dirlo, ma con l’elezione di Schlein è successo proprio questo. Da mesi, se non da anni, la grande stampa borghese, costruisce il personaggio Schlein, la quale non a caso è presente da tempo sulle colonne del Gruppo Repubblica (o di quello che fu) con frequenza pressoché continua.
Certo, oggi possiamo considerare un bene che questa stampa e le forze economiche che la dirigono abbiano appoggiato una candidatura sicuramente più “di sinistra” rispetto alle altre in campo. Forse comprendendo meglio e prima di altri che senza una svolta, almeno apparente, il PD stava rischiando veramente una lenta estinzione. Ma domani, queste stesse forze potrebbero scegliere di sostenere ben altre candidature, così come in passato hanno lavorato con impegno e determinazione per l’affermazione di altre leadership (do you remember Renzi?).
Ecco perché non ritengo che Schlein possa cambiare davvero il PD. Certamente si apre una stagione dove il PD potrà esprimere posizioni maggiormente progressiste, complice naturalmente il lungo periodo di opposizione che si preannuncia, condizione che rende più semplice spendere parole senza la necessità di accompagnarle con provvedimenti legislativi e normativi. Ma rischia di essere una stagione effimera proprio per la natura del PD (nove tra segretari e reggenti in soli 15 anni) di cui Schlein appare tutt’altro che la negazione, ma anzi ne rappresenta la quintessenza.
Infine, ma certo non ultimo per importanza. Le poche parole spese sulla questione internazionale. Vicenda che, con la guerra in corso in Ucraina, rischia di cambiare gli assetti geo-politici dell’intero pianeta; non proprio una questioncina marginale, dunque. Sulla guerra la sua retorica non si discosta da quella del suo predecessore. All’Assemblea Nazionale Schlein è apparsa addirittura più timida che in altre - già insufficienti - dichiarazioni. Siamo insomma all’aggressore e all’aggredito. Senza lo sforzo di una analisi appena più approfondita dello scenario internazionale.
Su questo fronte c’è da aspettarsi quindi una prosecuzione della linea filo-atlantica di Letta. Una linea che porterà il PD a sostenere ancora l’invio di armi incondizionato a Zelensky, senza porre con significativa determinazione la necessità di avviare colloqui di pace, la cui condizione indispensabile è quella di un cessate-il-fuoco che difficilmente si produrrà continuando ad inviare armi. È una posizione questa in linea con le convinzioni personali della neo-Segretaria (abbiamo detto della sua cultura americana), ma anche con quelle delle forze che l’hanno sponsorizzata.
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