di Massimo Florio.

Un pezzo delle nostra soria, "un piccolo ricordo personale ", come Massimo lo definisce, una delle tante belle storie che ciascuno di noi, in forme e momenti diversi , ha vissuto.

"Vorrei aggiungere un piccolo ricordo personale. All'inizio degli anni '70 la facoltà di Giurisprudenza dell 'Università di Roma era una roccaforte dei fascisti, in particolare di gruppi violenti come Avanguardia Nazionale ( Delle Chiaie tanto per fare un nome). La scalinata di accesso era stabilmente presidiata da decine di squadristi che godevano di una certa benevolenza delle autorità accademiche e che quotidianamente intimidivano e periodicamente malmenavano gli studenti che -per come erano vestiti o per il quotidiano che avevano sotto il braccio - erano identificati come 'rossi'. La maggioranza dei professori e forse degli studenti erano anticomunisti e ostili al movimento studentesco. Creare un collettivo di studenti antifascisti in questo contesto significava tenere riunioni altrove, entrare da ingressi laterali, correre rischi i. Eppure quel collettivo si fece, fu raramente unitario, per diversi anni raccolse giovani di ogni tendenza antifascista. Molti di quei giovani sarebbero diventati poi i giudici di Magistratura Democratica, gli avvocati dei diritti civili, ed altro. Ma allora eravamo dei ragazzi abbastanza impauriti e quasi clandestini, anche se determinati. Se alla fine i fascisti sono stati cacciati da Giurisprudenza a Roma si deve anche a Stefano Rodotà. Non era l'unico professore antifascista, ma era l'unico fra tutti i professori a darci una mano, letteralmente in alcuni casi interponendosi e avendo il coraggio di prendere posizioni pubbliche dove altri giravano la testa dall'altra parte. Era un'epoca in cui c'era da poco da scherzare con i fascisti di AN e simili quando ci si esponeva, le minacce personali fioccavano. Rodotà era l'unico da cui potevamo andare a chiedere aiuto e disposto a esporsi quando chiedevamo un'aula per una riunione o il diiritto di distribuire dei volantini senza rischiare di finire all'ospedale. Oggi tutti lo ricordano per quello che era, un finissimo giurista progressista, e per le sue battaglie intellettuali. Ma io oggi lo voglio ricordare per qualcosa di meno noto: un giovane professore disposto a tendere la mano ad un gruppo di ragazzi, quando farlo significava correre rischi personali, nella ostilità o indifferenza dei suoi colleghi accademici. Stefano Rodotà era un uomo coraggioso." 

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