da Invictus.

Colombo, Pagotto, Olivetti, Sassone, Trombetta, Canova, Alocco, Napolitano, Carneggi, Vasini, Tagliabue. In panchina: Corrado, Scazzosi, Fontana. All.: Mariani. CT: Bertello.
Questa squadra di calcio, non la troverete sugli almanacchi. Non troverete foto delle gesta di questi calciatori, né articoli, risultati, statistiche. È una formazione che vive nella memoria, nei ricordi. Nacque grazie all'intuizione e all'amore per il calcio e la vita di un terzino che giocava d’anticipo, il cui tempismo era il punto di forza. Era una squadra invincibile, non perdeva mai. Giocava per vincere. Giocava per la vita.
Rino Pagotto nasce nel 1911 a Fontanafredda, in Friuli. Giovanissimo, si trasferisce a Pordenone. La mamma Augusta, per distinguerlo dagli altri fratelli, i cui nomi hanno un’assonanza troppo simile, comincia a chiamarlo Mario. Rino, per tutti, diventerà Mario. A Mario la scuola non piace. Il suo destino sembra segnato. Lo aspetta un lavoro da ciabattino. Quel ragazzotto, dalla scorza dura, tipica dei friulani, però, ha voglia di sport. È nato a due passi dal grande ciclista Bottecchia e dal pugile Primo Carnera. Sogna il ciclismo e la boxe. Un po’ per caso, si trova a giocare a calcio nel campetto dell’oratorio. Inizia a tirare i suoi primi “seri” calci ad un pallone nell'Aurora Pordenone. È un terzino grintoso, tenace. Il suo punto di forza è il tempismo, il gioco d’anticipo. Come un fulmine, riesce ad anticipare gli attaccanti avversari e a sradicare la palla. Passa al Pordenone, in Prima Divisione.
Negli anni ‘30 in Italia, c’è uno squadrone. Uno squadrone che vince tutto. È “lo squadrone che tremare il mondo fa”. È il Bologna. È il Bologna del presidente Dall'Ara, dell’allenatore Arpaid Weisz, del bomber Angelo Schiavio e di tanti altri campioni. È il Bologna che vince allo stadio “Littoriale”. Mario viene notato dallo “squadrone”. Dal Pordenone passa al Bologna, dalla Prima Divisione alla Serie A. Viene acquistato per fare la riserva. Il suo esordio in maglia rossoblù avviene il 1° novembre del 1936, in un Bologna - Genoa. È chiamato a sostituire il mitico Gasperi, il “terzino volante”. L’approccio in prima squadra non è dei migliori. In campo è timido, poco incisivo. Sarà Arpaid Weisz a consigliarlo e a mutarne l’atteggiamento: “Non abbia paura di sbagliare, meglio osare che trattenersi”. Grazie ai consigli del tecnico magiaro e al duro lavoro, Mario diventerà una colonna dello squadrone bolognese. Sarà protagonista dello scudetto 1935/36. Nel 1937, sarà uno degli artefici della prestigiosa vittoria del Bologna nel “Torneo internazionale dell’Expo universale”. Una vittoria conquistata annientando il Chelsea, in finale, con un sonoro 4-1. Le sue prestazioni lo portano all'attenzione del CT Vittorio Pozzo. Esordirà in nazionale contro la Romania. Quella sarà la sua unica presenza azzurra.
Nel 1938, con l’entrata in vigore delle leggi razziali, lo “squadrone” perderà l’allenatore Weisz. Ebreo, sarà costretto ad allontanarsi dal Bologna e dall'Italia. Cercherà fortuna e salvezza altrove. Troverà la morte ad Auschwitz. Pagotto continuerà a vincere sotto la guida del tecnico Felsner, chiamato a sostituire Weisz. Da protagonista, conquisterà altri due scudetti.
Nel 1943 è chiamato alle armi, nella “Brigata Alpina”. All'indomani dell’armistizio dell’8 settembre, verrà arrestato, in quanto “traditore”, dai tedeschi e deportato nel campo di Hohenstein. Il terzino grintoso campione d’Italia, diventa il prigioniero DA8659. È malnutrito, costretto ai lavori forzati, perde 30 kg. In quell'inferno Mario, per sopravvivere, si aggrappa all'unica cosa che sa fare: giocare a calcio. Nel campo, nonostante sia denutrito, debole, gioca drammatiche partite tra prigionieri per un pezzo di pane nero in più. La posta in gioco, in quegli incontri, è il cibo. Coloro che vincono hanno diritto a una razione extra. Da Hohenstein viene trasferito a Bialystok in Polonia. L’Armata Rossa avanza. I tedeschi scappano. I prigionieri cambiano “padrone”, passano sotto il controllo sovietico Per Mario inizia un lungo peregrinare tra i campi europei. Dalla Polonia viene trasferito a Odessa. Da Odessa a Cernauti, in Ucraina. A Cernauti ci sono oltre duecento italiani. Qui Mario incontra altri calciatori connazionali. Non hanno giocato in Serie A come lui. Non sono famosi come lui, ma, come lui, vogliono sopravvivere e tornare a casa. Con quei ragazzi fonda una squadra di calcio: “Quelli di Cernauti”. Giocano a calcio per avere una razione extra di cibo e per tenersi in vita. Le partite le vincono tutte. Il campo da calcio è una spianata polverosa in mezzo alle baracche. Le porte sono segnate dalle giacche dei prigionieri. “Quelli di Cernauti” sono degli invincibili. Con quelle partite sopravvivono e danno sollievo agli altri prigionieri, spettatori di quegli incontri, che trovano in quella squadra uno svago, una speranza. Da Cernauti, l’intera squadra di Pagotto, viene trasferita a Sluzk, in Bielorussia. “Quelli di Cernauti” continuano a giocare e a vincere anche lì. In quel campo Mario organizza il” Torneo dei lager”. Un torneo in cui si affrontano le squadre composte da prigionieri di tutte le nazionalità. “Quelli di Cernauti” vincono 18 partite consecutive. Battono tutti, anche una selezione dell’Armata Rossa con il tennistico risultato di 6-2. Vinceranno anche un “derby” con un’altra selezione invincibile di Italiani: “Quelli di Lembertow”. Il 18 ottobre del 1945, finisce l’epopea di “Quelli di Cernauti”. La squadra invincibile dei lager viene sciolta. Si torna tutti a casa.
Mario farà ritorno a Bologna e riprenderà a giocare nello “squadrone” con il quale otterrà un’ultima vittoria: la Coppa Alta Italia del 1946. Terminerà la sua carriera in rossoblù con 212 presenze.
Pagotto morirà nel 1992. Era il terzino dello “squadrone che tremare il mondo fa”, del Bologna forgiato da Arpaid Weisz. Era il terzino di “Quelli di Cernauti”. Era il terzino dell’imbattibile squadra dei lager che, ad ogni partita, si giocava la vita…

#invictus

Condividi