di Raffaele Mastrolonardo* su il manifesto 8 dicembre 2010

Attacchi hacker, replica dei contenuti, scaricamento di file «pericolosi» e pure voti nei sondaggi. La mobilitazione a favore di Wikileaks e del suo fondatore Julian Assange prosegue di pari passo con il tentativo di bloccare l’attività dell’organizzazione e di impedire la diffusione dei materiali che stanno facendo tremare le diplomazie di tutto il mondo. Una chiamata alle armi dal basso che prevede differenti livelli di conoscenza tecnologica e informatica ma tenuta insieme da un comune desiderio: impedire che poteri di vario tipo soffochino la libera circolazione delle informazioni.
E così mentre una serie di aziende antepone la lealtà allo zio Sam al libero mercato e sospende i propri servizi al sito degli informatori, una vasta comunità di individui sceglie di mostrare concretamente la propria solidarietà all’uomo e all’organizzazione in questo momento sotto attacco. È difficile leggere altrimenti la straordinaria proliferazione di mirror, siti che riproducono il contenuto di Wikileaks, a cui si assiste in questi giorni. Ieri se ne contavano 748 e una mappa realizzata apposta per monitorarne la diffusione (http://labs.vis4.net/wikileaks/mirrors/) rivelava la loro presenza in tutti e cinque i continenti.
La moltiplicazione di repliche è esplosa in reazione alla decisione di imprese come Amazon e EveryDns di sospendere i propri servizi nei confronti di Wikileaks con il rischio che i dispacci finora pubblicati non fossero più accessibili agli utenti. Ma la riproduzione digitale dei cablogrammi non è l’unica forma di azione concepita dai paladini di Assange che, all’occorrenza, sanno ricorrere a maniere più forti. Vanno così interpretate le azioni di sabotaggio informatico portate avanti ieri nei confronti di PayPal e Post Finance. Sia il servizio di transazioni online che la banca svizzera avevano congelato i conti dell’organizzazione (un totale di 91 mila euro, secondo Wikileaks), i loro siti sono stati temporaneamente messi ko da un gruppo hacker che si è firmato Operation PayBack («Operazione Resa dei conti»).
Decisamente meno tecnologici ma non per questo meno vicini alla causa del paladino della trasparenza sono quegli utenti che in questi giorni stanno affollando i luoghi online marchiati dall’organizzazione: la pagina Facebook di Wikileaks viaggia verso il milione fan, mentre l’account Twitter conta oltre 420 mila seguaci. Degni di nota, poi, sono gli oltre 250 mila voti raccolti da Julian Assange nel sondaggio online indetto dal Time in vista della tradizionale scelta della «Persona dell’anno». Con questo bottino l’australiano guida la classifica dei candidati e mette un po’ di pressione sui redattori del settimanale che dovranno scegliere (senza essere vincolati dal responso virtuale) la faccia da mettere sulla copertina.
Tuttavia, la più importante azione di solidarietà diffusa verso Wikileaks è quella che non è ancora stata portata a termine ma che potrebbe esserlo al momento opportuno. Sono infatti centinaia di migliaia gli utenti che, secondo Assange, sono in possesso di un file cifrato nel quale è presente l’archivio dei cablogrammi e altri documenti segreti di grande rilevanza. L’australiano non ha fornito dettagli ma tutto lascia pensare che si tratti di un file chiamato «insurance.Aes256» messo a disposizione sul sito nel luglio scorso dopo la pubblicazione dei materiali relativi alla guerra in Afghanistan. Pesa 1.4 gigabyte, abbastanza per contenere i dispacci diplomatici, le rivelazioni sull’Afghanistan e pure quelle sulla guerra in Iraq svelate lo scorso ottobre. Codificato in tutta probabilità con Aes256, uno dei più potenti algoritmi di crittazione in circolazione, per essere letto il file ha bisogno di una chiave (una sequenza di 78 numeri) che solo Assange possiede e che, ha detto, rivelerà in caso di necessità.
A quel punto tutti i documenti segreti e molti altri, saranno liberi di moltiplicarsi in Rete. Secondo il sito del quotidiano inglese Guardian, che ha citato fonti vicine all’organizzazione, anche dopo l’arresto di Assange, Wikileaks non pare intenzionata a far scoppiare la bomba. Almeno non ancora.

*www.effecinque.org

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