di Stefano Fassina

Qualche mese fa, all’avvio del percorso congressuale del Pd, Luca Ricolfi rimarcò su La Repubblica “l’assoluta necessità, se si desidera non perdere il contatto con gli strati popolari, di prenderne sul serio il tradizionalismo e le domande di protezione.” Il suo appello cadde nel vuoto, nonostante l’elezione di Elly Schlein a segretaria del Pd sia avvenuta in un’altra fase storica rispetto alla stagione di nascita del suo partito e de L’Ulivo. Era la stagione, peraltro già allora al tramonto, della “fine della storia e l’ultimo uomo”, chiusa almeno dal 2016 con la Brexit e l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. Ora, siamo in una fase di de-globalizzazione, a causa dell’insostenibilità sociale, ambientale, spirituale e geo-politica dell’impianto neo-liberista. Prima il Covid e, poi, la guerra in Ucraina ne sono conseguenza. Al tempo stesso, accelerano la scomposizione dei mercati globali. La divergenza strategica tra “nuova” e “vecchia Europa”, esplicita in reazione all’invasione russa, strappa il velo dei sogni sull’impraticabilità degli Stati Uniti d’Europa. Tutto cambia. Pertanto, il punto sollevato da Ricolfi rimane decisivo. Quindi, ha scritto magistralmente Carlo Galli qualche giorno fa sempre su La Repubblica, “Una politica progressista può e deve far pace con la nazione, con l’obiettivo di dare, attraverso la nazione, autocoscienza storica e civile al popolo.” 

A tal fine, data la rigidità di strutture e sovrastrutture, sarebbe utile riconoscere la necessità di due sinistre (utilizzo il termine “sinistra” in senso davvero ampio), definite da due paradigmi culturali distinti, ma complementari e sinergici. La “prima sinistra” o, meglio, centrosinistra  c’è. È erede delle sinistre storiche, sebbene dopo il ‘68 si sia riprodotta in radicale discontinuità di cultura politica con le sue origini. Si è consolidata dopo ‘89 e il ‘92. Il suo paradigma, cosmopolita, no border, federalista per l’Ue e transumanista sul versante dei diritti civili, è stato nutrito dalla “liberazione” dei movimenti di capitali, servizi, merci e persone e dall’onnipotenza della tecnica. È sotteso all’area ricompresa da +Europa, Pd, Verdi e, in molti aspetti, sinistre radicali da un lato ed Terzo polo dall’altro. È un insieme politico con consolidati riferimenti sociali: concentrati sui settori ad elevata scolarizzazione, prevalentemente benestanti e residenti nelle parti migliori delle aree urbane. 

Va, invece, costruita la “seconda sinistra”. Non partiamo da zero. In Italia, ha una presenza embrionale, istintiva e contrastata nel M5S. Altrove, è meglio definita sul piano teorico e, a parte in Germania dove Sahra Wagenknecht è assediata nella Linke, vive legittimamente con maggiore o minore consistenza elettorale. In Francia, è forte con il movimento di JeanLuc Melenchon. È minoranza nel Regno Unito, con il Blue Labour e la componente di Jeremy Corbin. Cresce dall’altra parte dell’Atlantico con le truppe di Bernie Sanders e le misure da “America first” di Biden. 

La “seconda sinistra” si dovrebbe strutturare intorno ad un paradigma inter-nazionalista, dove Nazione e Patria sono parole recuperate nel senso scritto nella nostra Costituzione ed illustrato da Carlo Galli nel testo richiamato: luoghi di appartenenza imprescindibili della persona-comunità, diversificati, aperti e solidali. Sono le basi per fermare l’autonomia differenziata e per cooperare con le altre Nazioni e le altre Patrie ad ognuna delle quali “appartiene” uno specifico popolo di un continente plurale, irriducibile ad un unico popolo europeo, obiettivo dei Federalisti. Qui, il riferimento da coltivare è la “demoicracy” assente dal dibattito politico italiano, soffocato nella morsa “europeisti” e “sovranisti”. Nelle relazioni con gli Stati Uniti e la Nato, la seconda sinistra persegue, con ostinata autonomia, un l’atlantismo adulto, realista, per un ordine internazionale multipolare e multilaterale. Sul versante economico, riconosce il “controlimite” sociale incardinato nella nostra Carta, sovraordinato, come sancito anche dalla Corte Costituzionale, alle norme dell’UE. Quindi, è “no Bolkestein”, discute il primato politico della BCE ed esige filtri sociali e ambientali alle dogane. RdC e salario minimo sono ultime trincee, ma l’obiettivo rimane la piena e buona occupazione. Per le migrazioni, oltre al sacro dovere di salvare le vite, connette l’accoglienza alla capacità di integrazione e riapre il libro della cooperazione internazionale per promuovere il diritto a non emigrare. Per la conversione ecologica, le valutazioni di impatto ambientale misurano anche l’impatto sociale. L’antifascismo è praticato come denominatore comune della politica, non conforto identitario e illusoria scorciatoia per conquistare la maggioranza. Infine, il cammino dei diritti civili parte dall’autodeterminazione della persona e in particolare della donna, ma segue la rotta umanista segnata da argini invalicabili: no all’acquisto della vita su un catalogo dopo aver affittato una madre; no al disconoscimento sessuale dell’umano, nel pieno rispetto e protezione per le persone omosessuali o transessuali e per le loro unioni. 

Qui, il femminismo non si ferma alle pari opportunità di genere, ma è riconoscimento del potenziale femminile per scardinare il dominio dell’economico e le connesse gerarchie di potere.

In conclusione, la sfida di fronte alle leadership dell’area progressista è avviare la “seconda sinistra”, non competere per il primato nelle ZTL. È l’unica strada per ritrovare connessione sentimentale con le periferie sociali, rispondere alle loro domande di protezione economica ed identitaria e allargarne la rappresentanza. Così, insieme, le due sinistre possono superare le destre.

Fonte: La Repubblica

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