PERUGIA - Non si può certo dire che l’entrata in vigore dell’articolo 9-bis della legge di conversione 123/2017 - il cosiddetto decreto Mezzogiorno approvato lo scorso agosto - sia passata inosservata

La norma, in ottica di riduzione rifiuti, modifica il vigente Codice dell’Ambiente - recependo la direttiva UE 2015/720 - e impone la sostituzione di tutte le borse di plastica, in particolare quelle fornite per il trasporto di merci o prodotti (ad esempio borse alla cassa) ed anche quelle “richieste” a fini di igiene o fornite come imballaggio primario per alimenti sfusi” (reparti ortofrutta, gastronomia, macelleria, ecc.), con sacchetti biodegradabili e compostabili.

Il clamore e le proteste di questi giorni vertono principalmente sul fatto che dal 1 gennaio si devono pagare i sacchetti in modo esplicito ed evidente nello scontrino emesso dal negozio. Ma questo lo stavamo già facendo anche prima, solo che il costo non era visibile come voce a sé stante nello scontrino ma inglobato in quello del prodotto.

Niente di nuovo, quindi, nella sostanza. Semmai si può dire che mettere in chiaro il costo del sacchetto serve anche a fermare i sacchetti illegali che costano ogni anno solo di evasione fiscale 30 milioni di euro e contribuirà a ridurre i costi di bonifica ambientale ed altri disastri che gli imballaggi di plastica fanno quotidianamente. Ricordiamoci ad esempio che in base alle attività di monitoraggio della campagna di Legambiente Clean up the Med[1], le buste di plastica rappresentano il 16% dei rifiuti scaricati in mare da otto paesi del Mediterraneo. Secondo altre stime, ci sarebbero 25 milioni di sacchetti ogni mille chilometri di costa.

Quindi pagare una cifra, poco più che simbolica (5 €/anno?), per l’imballaggio e vederlo scritto nello scontrino in maniera esplicita serve esclusivamente a rendere consapevoli i cittadini che gli shopper che utilizziamo ogni giorno hanno un valore e che possiamo scegliere di utilizzarne meno assumendo comportamenti responsabili e virtuosi. Per questo dovrebbe essere data la possibilità di utilizzare scelte alternative che siano economicamente e ambientalmente più convenienti e sostenibili, come la retina di antichissima memoria, ma questo dipende dalla GDO visto che la norma non vieta esplicitamente  l’utilizzo. La legge infatti  a riguardo si esprime solo regolamentando le riutilizzabili per l’asporto delle merci, ma non dice nulla per l’imballo primario.

La polemica sorta in questi giorni è dovuta alla gran confusione generata dalle interpretazioni discordanti date dai ministeri con lettere e circolari emanate nei mesi scorsi in risposta a richieste di chiarimento fatte dalla grande distribuzione. Ad ogni modo nell’ultima circolare di dicembre 2017, che chiarisce alla GDO la possibilità di far pagare il sacchetto anche sottocosto[2], il Ministero dello Sviluppo Economico scrive anche  che: In conclusione, salvo diverso avviso del Ministero della Salute al quale la presente nota è inviata per conoscenza, si riterrebbe ammissibile la possibilità per la clientela, nei reparti di vendita di alimenti organizzati a libero servizio, di utilizzare gli shoppers in discorso già in loro possesso.

Quindi salvo parere contrario del ministero della salute circa le norme igieniche sembrerebbe possibile utilizzare propri sacchetti se il negozio lo permette. Quali sacchetti e come regolamentare la cosa è oggetto di discussione e necessita di un ulteriore chiarimento, ma noi siamo certi che poter utilizzare ad esempio le retine che consentono di vedere il contenuto e possono essere riutilizzate non è, né ci auguriamo sia mai, una pratica fuori legge! Insomma spetta ora ai gruppi della grande distribuzione e agli esercenti valutare come e se offrire alternative all’utilizzo dei sacchetti biodegradabili.

Come associazioni ambientaliste e di cittadini consumatori attivi nel controllo e monitoraggio dei servizi ambientali di questa Regione riteniamo invece che questa legge possa dare un contributo significativo ad importanti obiettivi che stiamo perseguendo ed in particolare:

1. Riduzione dei rifiuti alla fonte. Sappiamo infatti che il consumo delle plastiche flessibili è il primo problema di littering (dispersione rifiuti nell’ambiente) nel mare, nei laghi e nei suoli. Virare verso materiali compostabili da usare in modo sempre consapevole darà un importante contributo. 

2. Riduzione della plastica nella raccolta dell’organico e quindi nel compost che si andrà a formare. Abbiamo infatti più volte denunciato che l’uso della plastica per la raccolta della frazione organica è un grande problema perché implica una riduzione della resa del compost e soprattutto restituisce un prodotto che in linea di principio è un ottimo fertilizzante ma che gli agricoltori stentano ad usare perché ancora troppo ricco di pezzetti di plastica.

3. Aumento della consapevolezza da parte del cittadino che utilizzerà con parsimonia gli imballi e li potrà anche riutilizzarli nella raccolta della frazione organica. 

Ribadiamo infine come con lo sforzo di tutti, occorrerà aiutare a verificare la corretta applicazione della legge nella nostra regione e denunciare l’eventuale presenza di sacchi illegali  che già sappiamo essere diventato fiorente business per le organizzazioni malavitose, altresì invitiamo i cittadini a denunciare abusi e cattive applicazioni della legge.

 

[1] https://www.legambiente.it/contenuti/campagne/clean-med

 

[2] http://www.ilfattoalimentare.it/wp-content/uploads/2017/12/All.-AOO_PIT-REGISTRO-UFFICIALE-2017-0537605.pdf

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