di Roberto Bertoni.

Sarà per motivi generazionali, sarà per un'antica passione per quel paese che è quasi un continente, sarà perché non mi rassegno alla barbarie trumpista e vorrei vedere un'America e un mondo governati da persone perbene, sarà per tutta questa serie di motivi, fatto sta che da qualche tempo sto seguendo con crescente intensità ciò che accade Oltreoceano.
Ebbene, lo scorso 6 novembre sono entrate in Parlamento, fra Camera dei Rappresentanti e Congresso, una miriade di donne, socialiste e portatrici sane di valori progressisti che, se trasformati in azioni concrete, potrebbero davvero modificare il destino di un pianeta che, andando avanti di questo passo, rischia di non avere un futuro.
Ho letto con molta attenzione il manifesto politico e programmatico presentato da Sanders, al fine di lanciare un'opposizione seria, costruttiva e basata su idee e proposte in grado di incidere sulla vita della classe media, oltre che dei poveri, del proprio Paese e su alcune questioni che stanno a cuore a chiunque non si rassegni a vivere in un mondo devastato dall'inquinamento, dai cambiamenti climatici deleteri e da un modello socio-economico che genera unicamente violenza e disperazione e costituisce il propulsore per le peggiori destre nazionaliste e xenofobe.
I temi posti da Sanders e dai suoi ragazzi, diventati in alcuni casi parlamentari, sono talmente globali che anche nella vecchia e disincantata Europa se ne comincia a discutere, soprattutto in vista di elezioni decisive come le Europee del prossimo maggio.
Tralascio, per carità di patria, la qualità del dibattito alle nostre latitudini, fra partiti, partitini, scissioni e altri favori gratuiti che l'attuale, pessimo governo proprio non merita. E mi permetto di lanciare, a mia volta, i temi di una sorta di agenda ideale per ripensare la sinistra, il suo ruolo e la sua funzione storica in termini globali, così da restituirle un senso e una ragione di esistere.

Lotta ai cambiamenti climatici

Ne parla espressamente Sanders, ripredendno uno studio dell'Intergovermental Panel on Climate Change secondo cui, se non si inverte drasticamente la rotta, entro dodici anni i danni per l'ambiente saranno irrimediabili. Tuttavia, è ormai un assunto che non si possa continuare a inquinare il pianeta e ad avvelenare l'aria, pena la distruzione di un'eco-sistema già fiaccato da troppi anni di incuria e sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali.
È evidente che un mondo che esaurisce le proprie risorse sempre prima e va in riserva già ai primi di agosto sia destinato ad esplodere, così come è evidente che carestie e carenze idriche siano alla base delle migrazioni di massa nonché dei conflitti che segnano la nostra epoca.
La riduzione delle emissioni di CO2, la transizione verso le energie rinnovabili e un piano globale di riconversione degli impianti, ossia alcuni dei princìpi cardine della conferenza di tre anni fa a Parigi e dell'Enciclica ambientale di papa Francesco, sono misure non più rinviabili.

Cambio radicale del modello di sviluppo

Anche su questo, ormai le analisi si sprecano. La crisi del 2008, la devastante crisi dei mutui subprime, con annesso fallimento della Lehman Brothers e scene tragiche come quella degli impiegati che escono con gli scatoloni in mano, altro non è che l'emblema del collasso di un modello, quello economico liberista, che negli ultimi quarant'anni ha dominato e impoverito il mondo. Qualcuno sostiene che milioni, forse miliardi di persone, negli ultimi decenni siano uscite dallo stato di necessità e senz'altro è vero, ma non certo per merito del liberismo.
La globalizzazione della democrazia e l'avanzata tecnologica hanno generato un certo benessere diffuso. Il liberismo, al contrario, ha fatto sì che nelle mani di otto persone si concentri oggi la stessa ricchezza che si concentra nelle mani di 3,6 miliardi di poveri e lascia intravedere la prospettiva aberrante che entro vent'anni, o forse prima, ci sia il primo trilionario e poi magari anche il secondo, in un crescendo di concentrazione della ricchezza che finirà con il distruggere il pianeta e col contribuire a scatenare guerre sanguinose.
Un modello di sviluppo basato sulla follia di una crescita scriteriata e basata su un aumento costante del PIL, incuranti delle conseguenze che esso comporta e che già Robert Kennedy, cinquant'anni fa, definiva una catastrofe, un modello di crescita che non tenga conto dell'uomo, della sua unicità, dei suoi diritti, della sua libertà e del suo bisogno di tutela e di riscatto, un modello di sviluppo di questa natura è deleterio. Se a ciò aggiungiamo i tagli alle tasse dei ricchi di Trump e le promesse di flat tax dei trumpisti di casa nostra, ci rendiamo conto dell'insostenibilità di questa visione economica e sociale.
Senza contare che l'idea del turbocapitalismo, secondo cui la dignità della persona non esiste e l'uomo-macchina non ha diritto alle ferie, al riposo, al benessere, a lavorare meno e in luoghi sicuri nonché a fare del lavoro il proprio strumento per divenire parte e provare a trasformare la società, quest'idea secondo cui bisogna vivere no stop, senza mai la possibilità di distendersi e pensare ad altro segna in maniera irrimediabile il collasso del sistema capitalista e la necessità, globale, di trovare un altro modo di concepire le relazioni umane e i rapporti di forza tra le varie categorie.
I turbo-liberisti si sorprendono e irridono i ragazzi delle università americane che abbracciano il socialismo teorizzato da Sanders, ma qualcuno dovrebbe spiegare loro che questi ragazzi che vogliono tutelare l'ambiente, tendere al collettivo anziché all'individualismo thatcheriano, condividere i mezzi di trasporto e fermare questa macchina impazzita che è diventata il mondo, questi ragazzi potrebbero essere la salvezza dell'umanità, pertanto auguriamoci di cuore che vadano avanti.

Migrazioni

Sulle migrazioni si decide il nostro futuro, e quello dell'Europa in particolare. Sulla capacità di regolarne i flussi e di valorizzare questa frammistione dei sangui come la nostra più grande risorsa, diremmo quasi il nostro privilegio rispetto alle generazioni precedenti, si gioca il destino dell'Occidente.
Quando Trump mostra la faccia feroce nei confronti dei migranti che cercano di entrare negli Stati Uniti dal Messico, qualcuno dovrebbe ricordargli le parole di Alexander Hamilton, uno dei padri della Costituzione americana, il quale asseriva: "Noi che veniamo dai quattro angoli della Terra e non abbiamo nulla in comune, abbiamo la possibilità di condividere il nostro futuro. Questa è la nostra unicità". Sono parole pronunciate duecentotrenta anni fa ma tuttora estremamente attuali, a differenza dei deliri di un presidente incapace di valorizzare le risorse della propria Nazione, la sua grandezza e le sue caratteristiche, prima fra tutte quella di essere da sempre un crogiolo di razze, di culture e di etnie e di essere per questo un modello per il resto dell'umanità. Certo, non mancano nella storia americana episodi di razzismo e discriminazione, non si può tacere su un sistema giudiziario iniquo e sbagliatissimo, non si possono non vedere le differenze strazianti fra la liberal New York e gli stati retrogradi del Sud, con il suprematismo bianco e i rigurgiti nazisti in stile Ku Klux Klan che il trumpismo ha ulteriormente esasperato, non si può negare, insomma, che sia un Paese pieno di contraddizioni e non sempre da prendere ad esempio, specie su questi temi. Tuttavia, non si può neanche non vedere la resilienza che caratterizza gli Stati Uniti, la loro capacità di rinnovarsi e il loro coraggio nel trovare al proprio interno le risorse per riscattarsi e progredire lungo il cammino della storia e della civiltà. Un coraggio che finora è mancato all'Europa, ossia il continente più ricco di idee, valori, risorse e competenze che, se solo si unisse e sconfiggesse i propri demoni, potrebbe tornare ad essere un faro per il resto del mondo.
Sul finire dell'Ottocento fondammo il nostro potere e la nostra ricchezza sul colonialismo e sulla barbarie ai danni dell'Africa. Oggi dobbiamo fondare il nostro benessere sull'accoglienza di coloro che un secolo fa abbiamo contribuito ad affamare e depredato con inumana ferocia, integrandoli nelle nostre comunità e valorizzandone la ricchezza culturale e le tradizioni.
Ha spiegato Ilhan Omar, volto nuovo della sinistra americana, che andrà a Washington a costruire ponti perché questa è la caratteristica più significativa della religione musulmana: il dialogo e la propensione all'ascolto, alla mediazione e al confronto su ogni singolo tema. Se volessimo indicare un manifesto per l'Occidente dei prossimi cento anni, le parole di Ilhan sarebbero perfette.

Il rispetto delle minoranze

È un altro di quei temi su cui si parrà la nobilitate e la credibilità della sinistra mondiale nei prossimi decenni.
Vi confesso che mi emoziono sempre quando vedo musulmani, omosessuali e altri esponenti di minoranze tuttora pesantemente discriminate entrare in Parlamento o arrivare addirittura al governo.
Mi emoziono perché penso che dal rispetto delle minoranze e dalla valorizzazione di ciascun essere umano nella sua unicità passi la frontiera di una società autenticamente aperta e capace di guardare al futuro.
Eutanasia, aborto, divorzio, matrimonio e adozioni omosessuali, realizzazione di luoghi di culto per tutte le religioni, rispetto di tutte le usanze e mescolanza di stili di vita sono il miglior modo per difendere la propria storia e la propria identità, inserendola in un contesto più ampio e rendendola in grado di accogliere le storie e le tradizioni altrui, dunque rinforzandola.
Una sinistra del Ventunesimo secolo non può che porre i diritti sociali e i diritti civili sullo stesso piano, riconoscendone l'inscindibilità e battendosi per la piena affermazione di entrambi.
Da questo punto di vista, la battaglia per lo Ius soli, in Italia e in Europa, e il riconoscimento del ruolo dell'Italia come terra di frontiera e di ingresso è l'unica via per restituire un senso, un ruolo e una missione ad un paese che, altrimenti, rischia di essere confinato nella marginalità.

I diritti delle donne

Il vero discrimine fra democratici e repubblicani, alle recenti elezioni di Mid-term, sono state le donne. Basta guardare la mappa dei nuovi eletti per rendersi conto dello iato fra una società chiusa , retrograda e irrispettosa e una società aperta ed inclusiva, nella quale le donne sono protagoniste alla pari e in grado di portare avanti istanze che in passato non erano mai state considerate. Una società più femminile, e di conseguenza una politica meno maschilista, muscolare e violenta, costituisce la miglior garanzia per il nostro futuro.
I diritti delle donne, la loro libertà, la loro partecipazione alla vita pubblica, la loro crescita culturale e la loro sacrosanta rivendicazione di posti di primo piano rappresentano il miglior antidoto al jihadismo selvaggio che si accanisce contro i loro corpi, la loro bellezza e il loro desiderio di vivere la sessualità e i rapporti affettivi nella loro pienezza, senza subire alcuna discriminazione né essere considerate alla stregua di oggetti.

La società della conoscenza e l'Internet delle cose

Ci sono vari modi di reagire al cosiddetto "populismo". Il primo è la demonizzazione fine a se stessa, tanto cara a una certa sinistra "petalosa" e all'ala clintonian-macronniana che sta consegnando l'Europa nelle mani dei fascisti, a furia di emettere condanne aprioristiche e denigrare chiunque si affidi a soggetti che io stesso reputo pericolosi ma a proposito dei quali mi interrogo, senza minimamente offendere chi decide di votarli, magari per disperazione.
Il secondo approccio possibile è quello che tende all'imitazione, incarnata dal sovranismo di sinistra, con la conseguenza di legittimare quello barbaro della peggior destra di sempre.
Infine, c'è l'approccio più difficile, quello che equivale alla creazione di spazi dove non avrebbero mai dovuto esserci, per utilizzare una splendida espressione di Osvaldo Soriano, ed esso si basa sull'allargamento della base democratica tramite l'estensione dei saperi e delle conoscenze.
Abolizione del numero chiuso, lotta senza quartiere alle crocette, ai quiz insulsi e a tutto ciò che inibisce il pensiero e la creatività, università gratuita per tutti, in quanto considerata un bene comune, riforma dei programmi scolastici e adeguamento dei medesimi alle nuove tecnologie, senza per questo privarli della necessaria ricchezza e complessità, desiderio di non lasciare nessuno indietro, l'insegnamento inteso come missione politica e civile: sono solo alcune delle proposte concrete che mi vengono in mente in materia, al fine di ampliare i diritti e rendere pienamente cittadini anche coloro che sono nati indietro e che senza un'istruzione di qualità non potranno mai aspirare a salire i gradini della scala sociale.
E poi l'internet delle cose di cui parla Rifkin e la valorizzazione di una società nella quale la trasparenza e il modello a rete ci mettono nelle condizioni di raggiungere il massimo grado di democrazia, a patto che non si sfoci nella distopia orwelliana del controllo totale degli individui e della privazione dei medesimi di ogni spazio di intimità. Il confine è labile e, proprio per questo, la sfida è ancora più affascinante e necessaria.

Tutto ciò, ovviamente, non può prescindere dal rilancio di un europeismo autentico e dalla difesa di quel valore indispensabile che è la pace, da una seria e capillare battaglia contro le armi nucleari e da sanzioni pesantissime all'indirizzo di quei paesi che stanno attuando veri e propri genocidi all'indirizzo di altri popoli, oltre a smettere di vendere loro le armi con le quali li compiono.  
Questi pochi e neanche troppo originali spunti di riflessione costituiscono una discreta base di partenza per restituire un senso e una ragione storica e sociale di esistere al pensiero progressista.
Tutto il resto, sia detto con il dovuto rispetto, è un dibattito autoreferenziale che ormai ha stancato persino noi addetti ai lavori.

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