LA RIFONDAZIONE COMUNISTA DI LUCIO MAGRI

Il #28novembre 2011 ci lasciava Lucio Magri, uno dei fondatori de il manifesto, del Pdup, e dopo il rientro nel Pci, protagonista della lotta contro lo scioglimento del partito tra il 1989-1991 e tra i dirigenti più autorevoli di Rifondazione Comunista (memorabile il suo profetico intervento contro il trattato di Maastricht https://youtu.be/dFTZBreLeQ0?si=EAqwJL9r1KlQoJyQ). L'ultima volta che l'ho incontrato ero con Ramon a una manifestazione nazionale della #Fiom. Incombeva il governo Monti. Lucio ci disse "meno male che almeno voi resistete, sono diventati tutti badogliani". Noi gli rispondemmo che avevamo bisogno del contributo di compagni come lui. Lucio fu lapidario: con la cura delle edizioni in spagnolo e inglese del suo libro 'Il sarto di Ulm' poteva considerare finito il suo compito e mantenuto l"impegno preso con sua moglie prima che morisse. Mentre si allontanava ricordo che Ramon, che aveva condiviso con lui militanza nel Pdup e poi nel Pci, mi disse che sentiva che non lo avremmo rivisto più.
Da ragazzino ero un estimatore del Pdup e de Il Manifesto perché articolava una critica da sinistra ma non settaria del Pci senza negarne il ruolo positivo e il grande patrimonio ideale, di cultura politica, di radicamento nel paese. Mi consentiva quindi di tenere insieme l'attaccamento alla sezione Eugenio Curiel sotto casa e la curiosità per la "nuova sinistra" e il sessantotto. Toni Negri definì - se ricordo bene nelle sue memorie carcerarie Pipe Line - quelle/i del Manifesto "comunisti degli anni trenta" e forse non si sbagliava perché effettivamente, al contrario degli operaisti più radicali, non disconoscevano il valore di una tradizione che aveva radici nell'antifascismo, in Gramsci, nella strategia dei Fronti Popolari, nella stessa via italiana di Togliatti. Questo impedì nel 1970-71 la fusione tra Potere Operaio e Manifesto, nonostante molte assonanze tra le tesi sull'attualità del comunismo (in una delle ultime mail che scambiammo Toni però si definiva "vecchio antifascista" e indicava gli imperativi di opporsi al governo Meloni in Italia e alla guerra in Ucraina). Potere Operaio vedeva nel Pci come lo aveva costruito Togliatti l'ostacolo - l'avversario da battere - sulla strada della rottura rivoluzionaria che pensava possibile per la forza raggiunta dalla classe operaia. Non a caso il rapporto col Pci era stato causa anche della rottura di Toni Negri e i suoi compagni con il padre stesso dell'operaismo italiano Mario Tronti a fine anni sessanta. Come Magri anche Tronti non poteva rompere con la storia comunista italiana in nome del '68 che avrebbe dovuto innovare con nuove spinte ma non rompere con il movimento operaio. Proprio nella sua recensione dell'ultimo libro di Magri l'autore di 'Operai e capitale' evidenziava di condividere il giudizio positivo su Togliatti che paragona a Lenin https://centroriformastato.it/il-sarto-di-ulm/
Lucio Magri e il Pdup furono vicini all'ultimo Berlinguer, quello che prese atto della non praticabilità della linea della "solidarietà nazionale" e propose nel 1980 di lavorare per l'alternativa democratica scegliendo di stare dalla parte della classe operaia sotto attacco davanti ai cancelli della Fiat e in difesa della #scalamobile, dalla parte della pace contro l'istallazione degli euromissili della NATO, e di porre al centro il tema della questione morale e del rinnovamento della politica. Quella sintonia aveva una ragione di fondo nella comune ricerca che accomunava gli ex ingraiani del Pdup e del Manifesto a Berlinguer e naturalmente a Pietro Ingrao, l’esigenza di una “terza via” nei processi di transizione verso il socialismo, alternativa cioè tanto al modello sovietico, quanto alla pratica delle esperienze socialdemocratiche e di rinnovare la tradizione comunista nel rapporto con quelli che allora venivano considerati i "nuovi movimenti", come il femminismo, il pacifismo e l'ecologismo. Non a caso quindi Magri fu tra i difensori dell'originale percorso del Pci, da Gramsci a Berlinguer, contro la liquidazione di quella storia proposta da Occhetto e dai dirigenti più giovani che poi guideranno il centrosinistra negli anni '90 e 2000 con esiti disastrosi di omologazione al neoliberismo e all'atlantismo. Come scrisse uno dei suoi compagni e amici più stretti Aldo Garzia, "La costante magriana è stata mettere sempre a rapporto un patrimonio politico/culturale con le novità economiche/sociali. L’innovazione teorica e politica come assillo, dunque, rifiutando tuttavia l’azzeramento da cui bisognerebbe ricominciare da zero."
Lo testimonia l'ampia recensione che dedicò su La rivista de il Manifesto a una raccolta di scritti di Togliatti su Gramsci curata da Guido Liguori:
"Non appena il momento più aspro della guerra fredda e dell'ultimo stalinismo fu superato, tutto ciò raggiunse la sua forma più matura: il comunismo italiano raccoglieva quasi naturalmente le forze più avanzate della società italiana, e appariva aperto a ulteriori sviluppi. Non sarebbe stato così senza Gramsci e anche senza quella mediazione togliattiana che ho chiamato `gramscismo'. Qui metteva radici permanenti e di massa una forza, un'identità, che non era - come molti oggi dicono e pensano - una `socialdemocrazia di fatto', senza quasi saperlo, o dirlo, ma neppure una semplice articolazione del campo sovietico, costretta dalle cose a svolgere una supplenza democratica in contraddizione con le sue convinzioni profonde e solo fin quando non si potesse `fare come in Russia'."
https://www.sitocomunista.it/.../togliatti/sugramsci.htm
Conservo ricordi molto preziosi delle conversazioni con Magri sull'opera a cui si dedicò negli ultimi anni della sua vita, IL SARTO DI ULM, un libro imprescindibile sulla storia del comunismo novecentesco e del PCI che consiglierei di leggere dopo la visione al cinema de 'La grande ambizione'. https://www.ilsaggiatore.com/libro/il-sarto-di-ulm-2
Scriveva Magri: 
<< La svolta tentata da Berlinguer era esplicitamente mossa da un ambizioso obiettivo di medio periodo: contribuire a un effettivo passo in avanti sulla via democratica al socialismo in Italia e in Europa. Una tale ambizione, per ragioni oggettive e immaturità soggettive, al vaglio dei fatti non reggeva, l’obiettivo era fuori portata, tuttavia la forza che era riuscito a conservare, le nuove scelte e le nuove idee che vi erano penetrate permettevano al Pci di non essere travolto dalla crisi dell’Unione Sovietica, di evitare la dissoluzione e l’abiura, dunque di tenere in piedi e rifondare in Italia una sinistra di ispirazione comunista rilevante e vitale. Anche tale obiettivo era difficile, ma non impossibile. Se una tale sinistra fosse stata ancora in piedi nel momento del disfacimento della Prima repubblica, lo svolgimento non solo della storia del Pci, ma anche quello della democrazia italiana avrebbe assunto caratteri diversi da quelli che oggi costatiamo >>.
Da riascoltare la presentazione del libro aperta da una relazione di Rossana Rossanda: https://www.radioradicale.it/.../il-sarto-di-ulm-una...
Ripropongo un estratto della relazione di Magri del 1990 al seminario di Arco in cui chiariva cosa si dovesse intendere per "rifondazione comunista" tratto dalla preziosa raccolta 'Alla ricerca di un altro comunismo. Saggi sulla sinistra italiana (2012): [

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