La nota del Comitato Rifiuti Zero dell'Umbria.
Sono iniziate le “grandi manovre d’autunno” intorno ai 180 milioni di euro che ogni anno l’Umbria spende per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Grandi manovre che tornano a guardare all’incenerimento come soluzione. Un occhio attento alle vicende e agli interessi che si muovono intorno ne riesce a cogliere subito i segnali.
Prima Auri (Autorità umbra rifiuti e idrico) annuncia (31 luglio) che destinerà più di un milione di euro per migliorare le pratiche della raccolta differenziata nei 92 comuni dell'Umbria. Passa meno di una settimana e, sempre Auri, tra il 6 e il 7 agosto solleva l’allarme discariche, oberate da
148.214 tonnellate di materiali nel 2020: "si sta esaurendo lo spazio nelle discariche ancora funzionanti (Borgogiglione di Magione, Belladanza a Città di Castello, le Crete a Orvieto) e bisogna pensare soluzioni alternative", dice sempre Auri limitandosi a parlare di “esportazione” in altre regioni e persino all’estero con l’implacabile corollario di aumento dei costi che finiranno nelle bollette delle utenze.
Trascorrono 48 ore e Giuseppe Caforio (presidente di Aucc, associazione umbra contro il cancro) invita l’opinione pubblica regionale a farsi una ragione dell’uso del Css (Combustibile solido secondario, ovvero da rifiuti), a partire dai forni delle cementerie eugubine.
A lui fa eco Luigi Fressoia, (presidente di Italia nostra Perugia) con un resoconto, nel proprio profilo social, della sua visita (rassicurante a suo scrivere) all’impianto viennese per l’incenerimento dei rifiuti.

Il quadro del dibattito si va allargando con la presa di posizione di due consiglieri comunali della maggioranza che governa Perugia: Nilo Arcudi e Adriana Galgano, referente di BLU, (alla vigilia di Ferragosto) sollevano critiche non trascurabili al modo di lavorare di Gesenu, gestore del servizio di igiene urbana nel capoluogo di regione e in altri 30 comuni dell’Umbria.
Per il Coordinamento regionale Rifiuti zero (Crurz) si tratta di un dibattito con molti lati opachi.

In questa occasione ci limiteremo a citare un elemento essenziale che sembra essere scomparso dai radar delle discussioni: quanta parte delle 290.836 tonnellate di materiali provenienti dalla raccolta differenziata complessiva del 2020 in Umbria (dati Arpa) è stata effettivamente “avviata a riciclo”?
Si tratta del 66,3%, quindi oltre due terzi del volume complessivo della raccolta che non dovrebbero avere niente a che fare con le discariche (se le componenti estranee al materiale selezionato non superano la quota del 17%).
Una montagna di materiale che, secondo le regole europee dell'economia circolare, dovrebbe costituire un “tesoretto” di decine di milioni, il valore di mercato delle materie seconde (sempre che vengano “avviate a riciclo”), che i vari Consorzi (Corepla, Coreve, Conai,) sono tenuti a far tornare in Umbria.
Ma è proprio qui il “punto critico”: non vengono pubblicati i dati riferiti alla voce “avviati a riciclo”, non si conoscono le cifre comunque riconosciute dai vari consorzi negli anni passati, non si conosce il destinatario di quelle somme… il principio di trasparenza è completamente ignorato e senza di questo sul tavolo della partita volano solo… carte truccate.

 

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