di Elio Clero Bertoldi

PERUGIA - Una recentissima scoperta archeologica in Sardegna non solo getta nuova luce sulla civiltà nuragica, ma addirittura rivoluziona la storia del pugilato come la conoscevamo sino ad oggi. 
A Mont'e Prama di Cabras, in una necropoli già nota, al centro, grosso modo dell'isola, sono stati riportati alla luce due colossali manufatti in pietra che rappresentano due pugili in azione. Sculture gigantesche che presentano una sorta di scudo a protezione del ventre ed i pugni stretti pronti a colpire l'avversario. 
A parte le valutazioni sulla civiltà nuragica, che potranno essere fatte e sviluppate, la scoperta sposta all'indietro la nascita di questa disciplina. 
Gli studiosi sostenevano che nel II millennio avanti Cristo tra i sumeri, i babilonesi, gli ittiti - grazie alle testimonianze dei bassorilievi - il pugilato aveva avuto il suo battesimo. Ma la civiltà dei nuraghi, risalente al III millennio, ora colloca lo sbocciare di questo che oggi chiamiamo sport e che allora, forse, rappresentava un rito, molti secoli più indietro.
Leggendo l'Iliade molti si saranno appassionati al combattimento tra Epeo (l'artigiano greco costruttore del cavallo di Troia) che batte il più giovane Eurialo nei giochi per la morte di Patroclo, anche se la disciplina entrò soltanto nel 688 aC, nella Olimpiade (la numero 23). Le fonti ricordano che Teogene di Taso per ventidue anni volò da un successo all'altro superando in carriera i 1200 successi e venendo considerato dagli antichi l'uomo più forte, insieme a Milone - che però esercitava la lotta - di tutti i mortali. I campioni, ovviamente, diventavano ricchi e famosi. ma non mancavano gli strali critici per alcuni di loro, che portavano per sempre nel volto e sul corpo, i segni e le cicatrici dei colpi subiti nei combattimenti. Un poeta greco poi  arrivò a sbeffeggiare il pugile Kleombrotos, vincitore di Olimpia, ma che a casa le prendeva, regolarmente, dalla moglie...
Prima delle Olimpiadi, la civiltà minoica ha lasciato, ad Akrotiri, città portuale a sud di Santorini, un affresco - datato 1650 aC - in cui due giovani atleti, con lunghe trecce - incrociano i pugni. Così come a Tebe, in Egitto, una scultura - risalente al 1350 aC - mostra un boxeur del tempo dei Faraoni del Nuovo Regno. 
Gli incontri di pugilato risultavano particolarmente seguiti nelle arene dell'antica Roma, dove i contendenti si misuravano con gli "imantes" (fasce di cuoio), quindi con gli "imantes oxei" (un anello sempre in cuoio, teneva unite quattro dita, tranne il pollice), infine con i "cesti" (cinte di cuoio con aggiunta di parti in metallo) - ne parla Virgilio nell'Eneide ("e qui il cesto, qui l'arte depongo" del maturo Entello che massacra il più giovane e strafottente Darete) e ci restano ad esempio le statue del "Pugile a riposo", di autore ignoto (forse una copia romana di un'opera di Lisippo), trovata nelle terme di Costantino sul Quirinale ed esposta nel Museo Nazionale di Roma o quella proveniente da Sorrento (firmata dal greco Koblanos che rappresenta l'atleta in piedi) ed ora al Museo Nazionale di Napoli - spesso, anche se non sempre, fino alla morte di uno dei due competitori. Non esistevano tecniche o strategie particolari: i colpi venivano portati a turno dai contendenti. E non erano contemplate neppure categorie di peso, per cui i più corpulenti finivano, in genere, per ottenere la corona della vittoria. Non era previsto, almeno nei tempi più antichi, neppure uno spazio entro il quale muoversi. Solo nel Medioevo si pensò di circoscrivere la zona disegnando a terra un semplice cerchio o anello, un po' come il solco tracciato da Romolo e "violato" da Remo. Quell'anello divenne, nell'Ottocento, il ring odierno.
Per gli amanti delle curiosità: a Venezia a partire dal 1292 e sino al 1705, quando venne vietato dalle autorità, la gioventù lagunare (e non solo) misurava la propria forza ed il proprio coraggio a ... pugni. Non solamente i singoli atleti, ma le "squadre" dei rossi (gli artigiani) contro i neri (i pescatori), sotto gli occhi dei giudici, si affrontavano sui ponti fino a quando una fazione non sgomberava l'intero spazio dalla presenza degli avversari, gettati in acqua.

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