Vorrei un apparato pubblico che non pensa solo a chiudere, ma ad organizzarsi per difenderci

di Maria Antonietta Gambacorta // Associazione commercianti di Torgiano “Vivi Torgiano”

Da quasi un anno viviamo prigionieri di un virus, questo stramaledettissimo virus invisibile agli occhi che ha condizionato le nostre vite, sia dal punto di vista della salute, che di quello psicologico fino all’economico.

A marzo del 2020 la situazione ci ha preso alla sprovvista ed era difficile prendere qualsiasi decisione.

Abbiamo accettato passivamente il dictat del comitato scientifico seguito dai vari DPCM.

Abbiamo aspettato impazienti la riapertura, sperando di poter riprendere le nostre attività, cercando di programmare un andamento che potesse supportare le scadenze e abbiamo cominciato a chiedere i finanziamenti con GARANZIA DELLO STATO previsti. Devo dire che, per quanto ci riguarda, quello fino a 25mila euro che avrei potuto estendere a 30mila euro sono riuscita ad averlo ALLA FINE DI MAGGIO, perché la banca non è vero che lo dava su richiesta, ha continuato ad operare con i suoi standard.

Con l’arrivo dell’autunno e la seconda ondata di contagi sono iniziate molte incertezze e i vari DPCM sono stati segnati da una lunga serie di incomprensioni e discriminazioni.

Il governo ha deciso di dividere le regioni in colori e l’Umbria, alla quale appartengo è stata messa dapprima in zona gialla, poi subito dopo in arancione:

- non ci si poteva muovere dal proprio Comune se non per casi particolari.

Conseguenza: i negozi che si trovano su Comuni piccoli hanno visto ridursi il bacino d’utenza in maniera esponenziale rispetto a quelli dei Comuni più grandi e mi spiego. Torgiano è in soluzione di contiguità con molti Comuni (Deruta, Bettona, Bastia Umbra, Perugia) e la clientela si sposta abitualmente da una parte all’altra proprio in virtù di questa contiguità. A volte il chilometraggio è talmente basso che invece spostarsi sul proprio Comune, fa percorrere molti chilometri in più.

Conclusione: Non sarebbe stato più equo limitare i chilometri che ognuno poteva percorrere, lasciando al cittadino la scelta di dove recarsi per i propri acquisti? Perché il bacino di clientela con il quale si rapporta la mia attività (che prendo a campione) è stato ridotto in maniera da poter contare solo sul mio Comune (6.700 abitanti) mentre quello del comune di Perugia, pur non contando sui comuni piccoli limitrofi, ha continuato a contare su un bacino assai più grande (167mila)? Questa disparità di trattamento come è stata compensata, visto che essendo in zona arancione e non rossa, non abbiamo avuto diritto a nessun ristoro?

A dicembre abbiamo avuto l’illusione di poter lavorare nel rispetto delle norme anticovid, ma l’andamento dei contagi e, se mi è permesso, il modo in cui sono stati scritti i vari DPCM non l’ha permesso:

CHIUSURE

Si è detto che i centri commerciali erano causa di assembramento e allora si è scelto di chiuderli nei giorni prefestivi e festivi, giorni nei quali solitamente c’era più affluenza. La conseguenza è stata che la gente durante la settimana li ha presi d’assalto creando ancora più assembramenti. Sono state pubblicate foto, criticato chi ci si è recato, ma se io sono abituato a fare certi acquisti in quei posti, e in alcuni momenti posso farlo, non è che mi metto a chiamare tutta la Regione per sapere chi ci va e capire quanti siamo. Me ne accorgo solo quando sono lì.

Il sabato e la domenica per il passeggio, se mi è stato permesso, perché devo astenermi dall’andare nel centro storico del capoluogo (fra l’altro fra i più belli d’Italia) per distogliere i miei pensieri e rilassarmi?

Conclusione: gli assembramenti sono stati conseguenza delle disposizioni.

Forse se si diceva che ci si poteva spostare per n. chilometri e che i Sindaci dovevano prevedere un piano che disponesse presidi per sorvegliare le aree a rischio assembramenti, sarebbe stato tutto più semplice, chi è preposto al controllo avrebbe dovuto controllare e chi deve lavorare avrebbe potuto lavorare.

Poi zona rossa nei giorni prefestivi e festivi del periodo di feste natalizie.

A pagina 216 del DPCM c’è l’elenco delle deroghe, che non è solo alimentari, farmacia, tabacchi (sono sottoposti a monopolio, forse non si volevano perdere incassi) e parrucchieri come dicono i mass media.

L’elenco include: fiorai, ottici, autosaloni, calzature e abbigliamento per bambini e neonati, articoli sportivi, profumerie, intimo e biancheria, ferramenta, giocattoli, erboristerie, e tanti altri.

Vorrei capire quale principio o ricerca scientifica sancisce che un profumo è articolo essenziale ed un paio di scarpe no, ma potrei fare tanti altri esempi.

Poi il 28 dicembre, chiamando la Camera di Commercio di Perugia scopro che c’è un documento dell’Union camere che elenca le attività che DEVONO stare chiuse (https://drive.google.com/.../1ksn537XSJfBpMVjkhtxD9Q.../view) e scopro che in questo elenco, il codice ATECO 47721, con il quale è registrata la mia attività, non c’è.

Sorge la domanda:

Il 24 ed il 31 dicembre il 2 e il 3 gennaio potevo stare aperta?

La tentazione di sfidare il mondo è tanta, ma come spiegare all’agente di turno che ci sono delle informazioni fuorvianti e in contrasto?

Ora si continuerà con questo avanti e dietro di colori, ma spero che chi deve decidere, sappia cogliere gli errori fatti. Si parla di riapertura delle scuole, ma cosa è stato fatto in merito allo spostamento degli studenti, del trasporto pubblico? Vorrei un apparato pubblico che non pensa solo a chiudere, ma ad organizzarsi per difenderci.

Dopo lo sfinimento del virus, dovremo subire una crisi economica con esiti disastrosi. Il circolo della produzione si è interrotto, le programmazioni saltano, i finanziamenti non arrivano.

Ma sono sicura che dopo la notte, anche la notte più lunga, l’alba verrà.

Buon anno a tutti

Condividi