di Lucia Baroncini

Ogni giorno muore un piccolo paese che non sa di esserlo, una comunità dispersa accomunata da una fine di cui veniamo a sapere puntualmente ogni pomeriggio solo per numero. Non ci sono un elenco di nomi, una suddivisione di età, di sesso, magari alcuni abitano nella stessa città, addirittura nello stesso quartiere, chissà se si sono mai conosciuti o anche solo telefonati, forse sono amori persi di vista o ritrovati, forse si sono sfiorati camminando in una strada antica o in un supermercato. Le colonnine dei decessi per Covid si allungano ogni giorno con una regolarità quantitativa che annichilisce, sempre centinaia e intorno alla metà di mille. Abitano tutti nelle vie del nostro Paese, sono tutti nostri concittadini, una umanità che scivola via dalla nostra esistenza con la percezione che abbiamo dell'acqua che scorre fra le dita. Sono senza identità, la loro fine viene fatta rientrare in una nuova categoria sconosciuta fino a un anno fa, la morte per il grande contagio universale. Le persone che ci lasciano per sempre sono così tante da essere ridotte a numero, contabilità, statistica, in un asettico lavaggio quotidiano di umanità. Tradotte a numero, le persone sfuggono alla nostra consapevolezza e alla nostra compassione. Ci arriva notizia che in tanti ieri sono scomparsi mentre facciamo altro, nella nostra casa. Calcoliamo a mente, mentre siamo al computer o prepariamo la cena, che oggi sono più di ieri e il numero ci allarma, ma è un attimo perché siamo sovrappensiero, distratti dal telefonino che teniamo in mano, e se domani diminuiscono di poche decine di unità, queste morti ignote, allora siamo subito inclini a pensare che in fondo le cose stanno migliorando, forse addirittura ne stiamo uscendo. Ma il giorno dopo ancora i numeri tornano a salire con un'impennata incomprensibile e allora siamo nuovamente nel patema per una pandemia che appare persecutoria. Può accadere a noi far parte di quell'elenco pomeridiano. Ci riguarda, lo capiamo. Ma lo stato di eccezione in cui viviamo da un anno è diventato quotidianità, quindi normalità. La paura, la prudenza, la circospezione si sono inserite stabilmente nelle pieghe della nostra esistenza come presenza, scansione, battito, siamo diventati abili a conviverci , distratti e dimentichi. La casa, nostra sacra protettrice, è diventata una sorta di solida alienazione dalla realtà. Della tragedia perpetua ci arriva notizia all'ora del tè, al riparo delle nostre abitudini. Ci sentiamo salvi, almeno fino a domani. Sono oltre 82mila i decessi per la pandemia, una città, divisa ogni giorno in tanti piccoli paesi di montagna o di mare, di pianura o di lago, e di essi non c'è nome né coscienza né cura.
 

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