di Gennaro Serio - Il Manifesto.

Sembra che la prima edizione delle Olimpiadi il cui programma avrebbe dovuto prevedere la pallanuoto – Atene 1896 – non poté completarsi: quello sport si giocava in mare e le acque greche rimasero agitate per tutta la durata della kermesse. Il water polo dovette attendere quattro anni per debuttare a Parigi (medaglia d’oro agli inglesi). Allora, già da una ventina d’anni, non si giocava più con il pallone realizzato dallo stomaco di un maiale gonfiato, lasciandosi preferire una più pratica gomma piena importata dall’India.

Chissà chi avrebbe vinto la prima finale di Atene, o meglio, chissà chi l’avrebbe persa: deve esserselo chiesto qualche volta Ratko Rudic, che di finali non ne ha persa nemmeno una in quarant’anni di carriera. Per acclamazione il più grande allenatore di pallanuoto di tutti i tempi, Rudic ha annunciato nei giorni scorsi il suo ritiro dall’attività, qualche giorno prima di compiere 72 anni.

Prima giocatore
Nato a Belgrado il 7 giugno del 1948, croato, Rudic fu innanzitutto un grande giocatore nelle file del Partizan Belgrado e dello Jadran di Spalato. Con la nazionale jugoslava ottenne diversi titoli e un argento sudatissimo alle Olimpiadi di Mosca nel 1980. Il momento più drammatico della sua carriera da giocatore arrivò ai Mondiali del ’75: la Jugoslavia era data come candidata numero uno alla vittoria e sembrava imbattibile, quando pochi giorni prima del campionato accuse di doping si abbatterono proprio su di lui; allora le regole prevedevano la squalifica di tutta la squadre e così avvenne: Jugoslavia esclusa dal torneo e Unione Sovietica campione. Pochi mesi dopo, la squalifica fu revocata e Rudic fu completamente scagionato da quella accusa infondata, ma l’oro ormai era andato.

Diversi infortuni lo costrinsero a fermarsi abbastanza presto, e già poco dopo i trent’anni si ritrovò nei panni dell’allenatore: è l’inizio di un percorso inimitabile che si conclude oggi, quando Rudic si ritira da coach del Recco, il più importante club in Italia – il paese che più ama dopo la Croazia e che lo ha sportivamente adottato.

Barcellona, Italia
Essendo la pallanuoto considerata, anche in Italia – che pure è tra le nazioni che spiccano nella disciplina – uno sport «minore», il nome di Rudic forse non suona come dovrebbe al lettore non aficionado: il «Wall Street Journal» nei giorni scorsi ha celebrato il suo ritiro definendolo un «Michael Jordan con baffi più belli». Gli sportivi italiani, tuttavia, difficilmente possono dimenticare, per visione diretta o racconto retrospettivo, una delle imprese più belle della storia tricolore alle Olimpiadi. Sì, perché nelle sue molte reincarnazioni Rudic è stato a lungo allenatore della nazionale italiana, conducendola al traguardo più inatteso e mai più raggiunto in epoca recente (mai più raggiunto da noi: da Rudic è stato raggiunto eccome, ma con altra nazionale): l’oro olimpico della pallanuoto a Barcellona 1992, in una finale «da annali» vinta contro i padroni di casa della Spagna.

La nazionale del ’92 era una squadra fortissima a cominciare dai pali, difesi da Francesco Attolico, e con Franco Porzio, Carlo Silipo, Massimiliano Ferretti, Amedeo Pomilio e Sandro Campagna tra gli altri. Quest’ultimo, anni dopo, sarebbe diventato allievo prediletto di Rudic in panchina, suo vice, e poi grandissimo allenatore a sua volta, oggi tra i migliori al mondo e attuale coach della nazionale italiana, alla guida della quale ha conquistato molti trofei e due titoli mondiali (2011 e 2019), e ha perso una finale olimpica nel 2012, contro una Croazia allenata piuttosto bene da… Ratko Rudic!

La piscina Bernat Picornell di Barcellona ospitò una finale ruvida, mal diretta da arbitri intimoriti dall’ambiente e inclini a un atteggiamento «casalingo»: la partita si trascinò ai supplementari, l’Italia aveva condotto per la maggior parte del tempo ma la Spagna riuscì a rimontare grazie soprattutto alla classe del grande campione Manuel Estiarte, fino al pareggio 8-8. L’ultimo gol di Ferretti arrivò a 30 secondi dalla fine. 9-8, sirena finale, psicodramma spagnolo e memorabile tuffo in acqua di Rudic e di tutta la panchina azzurra.

Carattere olimpico
La storia di Rudic alle olimpiadi da allenatore è presto detta: quattro medaglie d’oro, due alla guida della Jugoslavia (restò in carica dal 1984 al 1991), Los Angeles 1984 e Seoul 1988; uno con l’Italia a Barcellona; uno nel 2012 a Londra alla guida della Croazia. Dell’Italia Rudic fu allenatore per un decennio, dal ’91 fino al 2000, e aggiunse anche il Bronzo ad Atlanta ’96. Alla fine di una partita persa contro l’Ungheria alle Olimpiadi di Sidney fu coinvolto in una rissa, dopo la quale fu squalificato e esonerato dall’incarico. Uomo dai mille interessi, poliglotta, pittore dilettante, Rudic non ha mai brillato per seraficità, per così dire. Il suo stile, anche da allenatore, è sempre stato improntato a una certa semplicità e schiettezza («Nei momenti topici, i giocatori si affidano ai gesti semplici e ripetuti, quelli con i quali sono più a proprio agio», dice).

Vincente in epoche diversissime del suo sport, può essere paragonato a pochissimi altri. Per aver vinto nel corso di quattro decenni, può essere accostato a Sir Alex Ferguson (nel calcio), o Phil Jackson (che nel basket Nba vinse con i Chicago Bulls di Jordan e con i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant). Ma il record di imbattibilità nelle finali è semplicemente inimitabile: se ci fosse stata una finale che Rudic era destinato a perdere, di sicuro il mare si sarebbe agitato all’improvviso e la partita non si sarebbe potuta disputare.

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