di Antonello Tacconi.

Tonio Attino - IL PALLONE E LA MINIERA (Storie di calcio e di emigranti) –Kurumuny

Può un pallone di calcio coesistere se non essere complementare al piccone e alla lampada di un minatore, come rimanda il disegno in copertina del volume oggetto della nostra recensione? Pare proprio di sì, anche se la domanda potrebbe essere retorica oppure accostare due simbolici elementi che di per sé, all’apparenza, non sembrerebbero avere nulla in comune. Ed invece la storia che Tonio Attino magistralmente racconta in questo bel libro è realmente accaduta. Il suo teatro di scena è stato per molto tempo il Lussemburgo e quella parte meridionale che ha avuto nella cittadina di Esch-sur- Alzette il principale centro di tale apparentemente improbabile ma reale “alchimia”. Proprio qui, nella terra di tanti emigranti, di cui molti italiani, la vita scorreva tra il lavoro in miniere ed altiforni e la passione per il calcio, che si concentrava nella Jeunesse, la squadra del popolo e degli operai per eccellenza, contrapposta alla rivale della Fola, la compagine che invece rappresentava i “ricchi”, i borghesi, ovvero la middle class lussemburghese. Qui, l’integrazione tra lavoratori di diversi Paesi avvenne non tra mille difficoltà, ma il processo risultò inevitabile e continuo, grazie anche all’apporto che la passione ed il tifo per una squadra e l’amore per il calcio potevano arrivare ad unire tante persone. Ad Esch, infatti, molti italiani seppero trovare il loro momento di gloria e di riscatto quando, tolta la tuta da lavoro, vestivano la divisa a strisce bianconere e con le scarpette di calcio ai piedi diventavano gli idoli di un “popolo” calcistico. Capaci anche di gloriose imprese nel calcio europeo contro blasonate squadre di professionisti. Cosa che, ad esempio, accadde puntualmente il 19 settembre 1973 quando la Jeunesse incontra il Liverpool del leggendario allenatore Bill Shankly allo Stade de la Frontière. Alla fine sarà un epico pareggio ed una festa collettiva dentro e fuori allo stadio. Con il coach del Liverpool a strigliare i suoi a fine gara, ricordando ai suoi professionisti come gli avversari, la mattina successiva alla partita, sarebbero tornati a lavorare in miniera. E le storie degli emigranti italiani si intrecciano con le vicende della Jeunesse ma attraversano anche i momenti cruciali della storia del ‘900: lo sviluppo economico e la prima industrializzazione di Lussemburgo ed Europa, le due guerre, la deportazione di molti antifascisti italiani e resistenti lussemburghesi, le lotte operaie e le rivendicazioni sindacali. La prima industrializzazione del Lussemburgo, in particolare, si ebbe grazie alla geniale invenzione di un innovativo metodo di estrazione del carbone presente nel sottosuolo, la “minette”. Ciò porta il piccolissimo Granducato europeo a divenire in poco tempo la quinta potenza mondiale nella produzione dell’acciaio, con uno sviluppo economico impressionante ed inarrestabile. Per ottenere questo, furono necessari migliaia di lavoratori immigrati che giunsero da tutta Europa e soprattutto dall’Italia. Muratori ed operai arrivarono, quindi, dalla Lombardia, dal Veneto, dall’Emilia Romagna, dalle Marche, dall’Abruzzo e dall’Umbria. Dalla nostra regione, una nutrita comunità di immigrati raggiunse il Lussemburgo, in particolare ma non solo dalla zona dell’eugubino-gualdese. E fu inevitabile per molti legare il proprio destino non solo al lavoro in miniera o nelle acciaierie, ma anche alle vicende calcistiche della Jeunesse di Esch-sur- Alzette. Anzi, nella storia della gloriosa squadra degli immigrati e degli operai alcuni di loro furono delle vere proprie istituzioni se non leggende locali. Come l’umbro René Pascucci, originario di Rigali, piccola frazione di Gualdo Tadino. Lui che fu capitano della Jeunesse per oltre venti anni nonché uno dei protagonisti della storica partita nella quale la Jeunesse andò per ben due volte in vantaggio in una gara di Coppa dei Campioni al” Santiago Bernabeu”, contro il leggendario Real Madrid di Di Stefano, Puskas ed altri campioni. E sempre dall’Umbria ed in particolare da Gualdo altri personaggi legano il loro destino al lavoro nel Lussemburgo e alla Jeunesse. Vi sono Nazzareno Saltutti ed in piccolissima parte il fratello Nello che poi ritornato da giovane in Italia, trovò la sua consacrazione calcistica in diversi club come Milan, Fiorentina e tanti altri. E poi ancora da Gualdo lavoro e calcio sono intrecciate nella vicenda di Jean Pierre Barboni e della sua famiglia. Anche lui, a partire dalla metà degli anni ’70, capace di essere uno dei protagonisti della recente storia della Jeunesse. Lui che ebbe l’onore di incrociare proprio in coppa dei Campioni la Juventus di Trapattoni, dopo i tragici fatti dell’Heysel.

Tonio Attino ci presenta questi personaggi umbri ma anche altri di regioni limitrofe, dove le loro personali storie che scorrono nel libro ci ridanno direttamente ed indirettamente uno spaccato importante della storia degli italiani del ‘900, di quando gli emigranti eravamo noi. Una storia fatta di sudore, fatica, talvolta ingiustizie e pregiudizi, ma anche di orgoglio, lotta operaia e ovviamente successi sportivi e di calcio in particolare. Le storie e le vicende umane che si snodano nel quartiere della Hoehl, nelle miniere e negli altiforni, nei caffè e nei locali della città ma anche e soprattutto nello stadio de la Frontière rendono il “Pallone e la Miniera” una sorta di romanzo avvincente nostalgico e commovente dove il calcio della Jeunesse di Esch-sur - Alzette si fonde con l’emigrazione italiana in Lussemburgo in unicum da leggere tutto di un fiato. E grazie a miniere e calcio questa parte meridionale del Lussemburgo divenne un laboratorio di integrazione di tanti lavoratori giunti da tutta Europa, un secolo prima del Trattato di Schengen.

Una storia, quella degli emigranti italiani in Lussemburgo, che non va dimenticata soprattutto oggi, alla luce di vicende che si consumano nel Mediterraneo ed in Europa, che ancora ci parlano di emigranti, di emigrazione e di drammi umani che si consumano spesso in mare tra demagogia, slogan e inquietanti proclami ed azioni sulla pelle e sulle vite di tante persone che cercano una speranza ed un diverso destino, fuggendo spesso da fame, guerre e povertà. Una storia, in fondo, quella dell’emigrazione, che ciclicamente si ripete da millenni e che noi italiani sembriamo aver dimenticato e volutamente scordato, troppo spesso accecati da indifferenza, rancore e purtroppo in tanti casi pregiudizio razziale verso l’immigrato. Un libro che ci fa “bene” a leggerlo per non dimenticare da dove anche molti di noi o dei nostri avi sono partiti con le loro valigie di cartone, i sogni e le speranze di cambiare il destino e la vita fuori dall’Italia, magari indossando anche un paio di scarpini da calcio.

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