Pietro Greco

«Smettiamola di negare il rischio associato all’inquinamento dell’aria». Il titolo dell’editoriale di Nature pubblicato lo scorso 25 aprile non poteva essere più netto. L’inquinamento dell’aria uccide. Lo attesta una serie ormai lunghissima di studi scientifici e lo conferma l’Organizzazione Mondiale di Sanità. Eppure cresce chi lo nega. Per motivi sospetti.
Ma vediamo prima i numeri. Ogni anno nel mondo muoiono all’incirca 55 milioni di persone (55,3 milioni nel 2018). Ebbene, tra queste morti il 23% (quasi uno su quattro, per un totale di 12,6 milioni), sono direttamente correlate all’inquinamento ambientale. I dati sono della Lancet Commission on Pollution and Health (la Commissione sull’Inquinamento e la Salute organizzata dalla rivista medica The Lancet) e risalgono al 2017.

Non tutto l’inquinamento produce però i medesimi effetti. Quello che uccide di più è proprio l’inquinamento dell’aria: non solo è causa da solo di 6,4 milioni di morti ogni anno (4,3 milioni quello outdoor, il resto quello indoor), ma uccide un numero sempre maggiore di persone. I più a rischio sono i bambini: l’inquinamento esterno e quello interno alle abitazioni contribuisce a generare infezioni delle vie respiratorie responsabili nel 2016 della morte di 543.000 bambini di età inferiore ai 5 anni in tutto il mondo. L’analisi comparata ci dice che l’inquinamento dell’acqua uccide 1,8 milioni di persone, un numero che è diminuito rispetto al 2005. Poi ci sono le vittime sul lavoro (0,9 milioni per anno) e quelle per inquinamento del suolo (0,5 milioni).

Ancora: l’inquinamento dell’aria è la quinta causa di morte al mondo, dopo la cattiva nutrizione di bambini e delle loro mamme, la dieta, la pressione del sangue e il tabacco. Il 68% dei morti per inquinamento dell’aria è causato da particelle solide finissime, le PM2,5.

Le morti da inquinamento dell’aria sono facilmente evitabili: le cause, infatti, sostiene la Lancet Commission on Pollution and Health possono essere rimosse senza difficoltà. L’inquinamento si può prevenire e anche a basso costo. Per questo, risulta particolarmente grave la constatazione di Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS): «L’inquinamento atmosferico colpisce tutti, ma particolarmente i più poveri e marginalizzati. È inaccettabile che più di 3 miliardi di persone – la maggior parte donne e bambini – respirino aria “letale” ogni giorno a causa di sistemi di cottura non adeguati».

Ebbene, sostiene Nature, malgrado le crescenti evidenze e malgrado l’inaccettabilità di un rischio facilmente evitabile, è in aumento anche il numero dei negazionisti: di chi, in un modo o nell’altro, sostiene che tutto questo non è poi così vero o, almeno, non è poi così certo.

La rivista scientifica inglese si riferisce in maniera esplicita a Tony Cox, presidente del gruppo di scienziati consulente dell’EPA (Environmental Protection Agency), l’agenzia federale per l’ambiente degli Stati Uniti. Cox, che è stato consulente di molte industrie comprese quelle energetiche ed è stato posto alla direzione del gruppo dal presidente Donald Trump, ha affermato in un recente convegno che non ci sono evidenze che le particelle PM2,5 siano causa di morte e, comunque, che è difficile dire quante davvero ne causino.

Ma Nature si riferisce anche ai 140 specialisti di medicina polmonare che a gennaio in Germania hanno sollevato dubbi sul fatto che gli ossidi di azoto (NOx) e le particelle sottili abbiano un impatto significativo sulla salute. Il numero dei negazionisti, prosegue ancora Nature, è in aumento anche in altri paesi: dalla Francia alla Polonia all’India.

La faccenda riguarda anche noi in Italia. Non fosse altro perché la Pianura Padana è in assoluto l’area europea con il maggior tasso di inquinamento dell’aria. Ma, come nota ancora Nature, il problema è globale, se è vero che il 90% della popolazione mondiale vive in aree dove l’inquinamento dell’aria supera i limiti di sicurezza proposti dall’Organizzazione Mondiale di Sanità.

Negare questa evidenza non conviene, neppure alle industrie e ai responsabili dei sistemi che ne sono causa. Non è il momento di contestare le cause e diminuire gli sforzi per pulire l’aria, sostiene la rivista scientifica inglese considerata tra le più autorevoli al mondo: ora è più che mai il momento di incrementarli, quegli sforzi.

 

 

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