di Maurizio Giuffré il manifesto

 

Indigna l’approvazione dell’emendamento presentato da Matteo Renzi per «sburocratizzare» le procedure autorizzative per la trasformazione degli stadi di calcio. Con il limitare dell’autorità delle soprintendenze si crede «di dare una mano concreta alle città e ai lavoratori», come si è premunito di dire il leader di Italia Viva. Si tratta, però, dell’ennesima azione tesa a deregolamentare il settore degli appalti, dove il partito renziano svolge un ruolo di primo attore.

OCCORRE DIRE ANCHE, al di là dello specifico calcistico generale, che la finalità immediata del provvedimento riguarda in specie lo stadio fiorentino «Artemio Franchi», costruito da Pier Luigi Nervi nel 1932 nell’area di Campo di Marte e che, visto il suo cattivo stato di conservazione, non solo richiede interventi di restauro in più parti delle strutture in cemento armato, ma soprattutto non è più funzionale a soddisfare gli interessi imprenditoriali di Rocco Commisso, il patron della Fiorentina, il quale ha necessità di aumentare il numero degli spettatori e di avere nuovi servizi e funzioni sul modello di quanto è avvenuto a Torino con l’«Allianz Stadium» della Juventus e di quanto accadrà allo stadio San Siro di Milano.

C’era l’opportunità di realizzare un nuovo stadio nell’area Mercafir, nel quadrante nord della città, ben collegata con la rete autostradale dove il nuovo stadio avrebbe condiviso i circa quindici ettari disponibili con la riqualificazione e ampliamento del centro alimentare polivalente. Peccato che il valore assegnato alle aree sia stato fissato troppo in alto e il bando di vendita sia andato deserto e nessuno abbia ipotizzato altre soluzioni, pur disponibili nell’ambito del partenariato pubblico-privato, per agevolare l’attuazione del masterplan che adesso resta vuoto, con il buco al centro, senza il nuovo stadio. Un risultato non sgradito agli operatori del commercio alimentare che senza essere degli esperti urbanisti giudicavano incongruo un accostamento tra infrastrutture dello sport e logistica alimentare.

Tuttavia, nonostante il via libera concesso dal Senato, non sarebbe da abbandonare l’ipotesi del nuovo stadio. Ad esempio nell’area già individuata di Campi Bisenzio, la quale ha un’ottima viabilità ed è idonea anche per accogliere la «Cittadella Viola».

Non si comprende, quindi, questa insistenza nel dovere rovinare lo Stadio «Franchi» come la società calcistica intende fare con il progetto dello Studio Archea, il quale non è per niente un restyling, sensibile alla tutela dei valori che l’opera inequivocabilmente esprime, ma al contrario si configura come un’autentica manomissione prevedendo demolizioni di porzioni rilevanti degli elementi architettonici, quelli che la qualificano come un’«opera corretta» di ingegneria in sé, per usare un’espressione di Nervi, e che se trasformata non lo sarebbe più per la maniera «aggressivamente fastidiosa» con la quale si presenterebbe l’alterazione dei suoi volumi. Gradinate, scale elicoidali e la torre di Maratona che svetta solitaria sparirebbero avviluppate da un involucro che annichilisce la loro libera «esuberanza statica».

ALMENO LA PRECEDENTE proposta offerta volontariamente dallo studio Gilardi Associati non mostrava quest’assoluta indifferenza preoccupandosi di dare una copertura alle sedute e aumentandone il numero.

A rendere la questione più confusa contribuisce l’indicazione della Soprintendenza, la quale dichiara che «mantenere per il “Franchi” la sua destinazione originaria di stadio della squadra di Calcio di Firenze è la migliore garanzia per la sua conservazione nel tempo». Parole che sono tutt’altro dalla vulgata che vede gli organi statali porre troppi vincoli che frenano qualsiasi intervento.
Qui sembra si tratti invece di sollecitarli misconoscendo che proprio svincolando lo stadio dall’uso di un solo club, ma individuando altri impieghi legati all’attività sportiva, ludica e del tempo libero, lo stadio possa salvarsi dall’abbandono.

Gli esempi non mancano, ma occorre una strategia complessiva e di lungo periodo sull’uso dei beni pubblici della città, partecipazione e condivisone delle scelte e forse qualche iniziativa in più nei confronti dell’amministrazione comunale da parte di chi ha studiato e divulgato l’opera di Pier Luigi Nervi, senza preoccuparsi del rischio che qualche pezzo della sua opera nel frattempo andasse a scomparire.

Condividi