Nichi Vendola, deputato di Rifondazione comunista per cinque legislature, poi fondatore di Sel (Sinistra ecologia libertà) e presidente della Regione Puglia dal 2005 al 2015: ha votato alle primarie del Pd?

«Non sono né un iscritto né un elettore del Pd. Le mie tessere sono quelle di Sinistra italiana e di Nessuno tocchi Caino».

Pensa di chiedere la tessera del nuovo Partito democratico?

«Come le dicevo, ho la mia tessera di partito ed è bellissima. È una citazione di una vecchia campagna del Pci, c’è un bosco verde e sopra la scritta: Questa è una proposta rossa. Salviamo il pianeta».

Elly Schlein è Vendola con la gonna?

«Grazie a Dio, Elly non è un clone di nessuno. Non solo è una donna, ma è una femminista che frequenta la cultura queer. La sua scommessa riguarda la natura di un partito segnato non soltanto dalle degenerazioni governiste, ma anche dalla subalternità ai totem e ai tabù dell’ideologia liberista».

Le sarà facile rivoltare i dem come un calzino?

«Oggi Elly ha una grande opportunità, ma dovrà scalare vette impervie e altissime. Immagino che ci sia chi spera, gattopardescamente, di “cambiare tutto per non cambiare niente”. Vedremo. Però, sia chiaro: se l’invocata unità del partito significa non toccare i gruppi di potere, non contrastare il trasformismo e il familismo, permanere nella palude del moderatismo e del liberismo, allora quell’unità mitica del partito diviene non la medicina, ma una forma della malattia, l’antidoto al cambiamento».

 

Il fatto di essere donna, la prima donna a prendere per mano i democratici, si rivelerà un vantaggio?

«Pure Giorgia Meloni è una donna, ma è figlia di una destra nemica delle donne: la sua acrobatica e grottesca difesa del diritto “a non abortire” è rivelatrice di una coazione punitiva verso la libertà femminile. Del resto Fratelli d’Italia rivendica quel “Dio patria e famiglia” che è il cuore stesso della retorica del patriarcato. Giorgia e Elly non sono equivalenti, perché essere donna e femminista è un’altra cosa: non è un vantaggio d’immagine, ma è la scommessa di cambiare un mondo maschilista e oppressivo».

L’intesa con il Movimento 5 Stelle è dietro l’angolo?

«Abbiamo un lungo cammino da compiere, per ricostruire un blocco e un’agenda progressista e antiliberista. Vogliamo cominciare a discutere in modo approfondito e competente di ciò che insidia e minaccia la nostra vita e la nostra umanità? Le guerre, il cambiamento climatico, la crescita vergognosa delle diseguaglianze. L’alleanza non è un “a priori”, ma la conseguenza di un lavoro comune e di una comune visione del futuro».

Che cosa potrebbe cambiare in Puglia dopo la vittoria di Schlein?

«Direi che è cambiato già qualcosa. Basti dire che non c’è più sul grammofono quel disco che canta “terzo mandato per sindaci e governatori”. Io capisco tutto, ma la discussione pubblica non può essere sequestrata dal gioco politico e dal numero dei mandati. Urge discutere di come stanno le nostre reti di welfare, di come evolve il mercato del lavoro, di quali politiche industriali, di quale transizione ecologica ed energetica, di quale protezione e valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio, di quale accoglienza per i migranti».

È un fiume in piena.

«Potrei andare avanti a lungo. Il Pd pugliese e quello campano, insieme con tutto il centrosinistra, devono avere il coraggio di rigenerarsi. Per salvaguardare il destino dei progressisti e per proteggere il Sud dalla minaccia dell’autonomia differenziata. Diciamo che innanzitutto nel Sud si gioca la partita di Elly Schlein e della sinistra più in generale. C’è in gioco il destino del Sud».

Si parla del governatore Michele Emiliano come candidato sindaco del centrosinistra a Bari, nel 2024: è un’indiscrezione sensata o campata in aria?

«Non deve rivolgere a me questa domanda, non saprei come rispondere».

Antonio Decaro, primo citadino di Bari, potrebbe essere il concorrente giusto per i progressisti alle prossime elezioni regionali?

«Decaro è stato ed è uno dei migliori sindaci d’Italia. Ha le capacità, la credibilità, la popolarità che rendono direi naturale la sua candidatura».

Il centrosinistra da queste parti, governa da vent’anni: tira aria di cambi della guardia ai vertici delle istituzioni locali?

«Il centrosinistra può tornare a vincere. A condizione che ridia speranza e prospettive di futuro ai pugliesi».

Lei dal 2021 è come se fosse imprigionato in un purgatorio giudiziario, all’indomani della sentenza di condanna a Taranto al termine del processo “Ambiente svenduto”: tre anni e sei mesi in primo grado per concussione. Continuerà a stare lontano dalla politica?

«Ogni santo giorno, per strada, su un tram, in un bar di qualunque città italiana io capiti, incontro qualcuno che mi chiede: perché non torna? Il fatto che tanta gente mi voglia bene mi commuove e rende difficile rispondere alla domanda. È una domanda che mi fa bene. E mi fa tanto male».

Quanto è difficile chiamarsi Nichi Vendola, avere lasciato un ottimo ricordo come amministratore, ed essere costretto a recitare il ruolo di spettatore degli eventi che la appassionano?

«È sempre stato difficile chiamarsi Nichi Vendola, ma è sempre stato bellissimo operare da visionari e pragmatici, stare nel potere senza essere divorati dal potere, anzi sfidando poteri inossidabili. Non c’è ingiustizia che possa rubarmi il senso più profondo di una storia che fu chiamata non a caso Primavera».

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