da Invictus.

Dal 2015, allo stadio “Giovanni Zini” di Cremona, vi è una targa in bronzo. È stata scolpita da Mario Coppetti. Raffigura un pallone dietro un filo spinato. Mario Coppetti si è spento, nell'aprile del 2018, all'età di 104 anni. È stato uno scultore, un artista, un politico, un partigiano. Coppetti è stato un uomo che ha speso tutta una vita per la sua comunità e per la sua città: Cremona. È stato un uomo che ha dedicato tutta la sua vita per difendere la democrazia, la giustizia e il progresso sociale. A 11 anni, aveva visto giocare un giovane mediano nella squadra della sua città. Era diventato il suo idolo. Con quel mediano aveva un debito di gratitudine. Quel debito, Coppetti, lo doveva assolvere con quella targa...
Vittorio Staccione nasce a Torino il 9 aprile del 1904. È figlio di una famiglia operaia. Abita in via della Madonna di Campagna n° 4. È innamorato del calcio. È tifosissimo del Toro. Tutti i giorni gioca a calcio sulle strade polverose del suo quartiere. Con in i suoi amici prende a calci un pallone di stracci, unico, vero amore della sua infanzia. Un giorno, viene notato da Enrico Bachmann, affermato giocatore del Torino. In quel ragazzino vede le stimmate del campione. Il sogno di Vittorio diventa realtà. Quel bambino cresce. Diventa uomo. È una persona buona, riservata, diffidente. Diventa un giocatore del Toro. È un centrocampista dinamico, dotato di un’ottima corsa. Quel ragazzo non è solo un giocatore del Toro, è anche un convinto antifascista. Frequenta i circoli socialisti. Nonostante non sia un violento, spesso si azzuffa con gli squadristi fascisti. È un lottatore, sia in campo che fuori
Dopo aver fatto tutta la trafila delle squadre giovanili granata, nel 1924, fa il suo esordio in prima squadra contro l’Hellas Verona. Gioca al fianco di Janni, uno dei più grandi campioni dell’epoca. Disputa un buon incontro. È l’unica presenza di quella stagione. È giovane, troppo giovane. Il Torino decide di farlo “maturare” altrove. Nella stagione 1924/25, viene dato in prestito alla Cremonese, in Prima Divisione. In maglia grigio rossa, disputa 25 partite. Le sue prestazioni sono convincenti. Il Torino decide di riportarlo a "casa" per la stagione successiva. È il Toro dell’ambizioso presidente Enrico Marone Cinzano. È il Toro di campionissimi quali Baloncieri e Libonatti. Vittorio, in quel Toro, è un panchinaro. Colleziona 6 presenze nella stagione 1925/26. Colleziona 11 presenze in quella successiva, la stagione 1926/27, quella dello scudetto revocato ai granata per lo scandalo Allemandi. Giocherà la sua ultima partita, in granata, il 20 marzo del 1927, a Genova, contro la Sampierdarenese. In quella partita, assiste, orgoglioso, all'esordio di suo fratello, Eugenio, trai pali torinisti.
Non c’è spazio per Vittorio a Torino. Viene ceduto, in Serie B, alla Fiorentina del marchese Ridolfi. Diventa un pilastro della “viola”. Dal 1927 al 1931, il mediano piemontese, disputerà, in maglia viola, ben 94 partite e sarà decisivo per la prima storica promozione in Serie A. A Firenze, Vittorio trova la sua dimensione come calciatore, ma anche come uomo. Conosce una ragazza Giulia, se ne innamora, la sposa. Nel 1930 la vita di Vittorio cambia, in maniera drastica. Giulia aspetta una bambina. Vittorio sta per diventare padre. Ma il parto ha delle complicanze. La bambina muore appena nata. Giulia morirà qualche giorno dopo. Distrutto dal lutto, va via da Firenze. Nonostante sia stato uno degli artefici della scalata alla Serie A della “viola”, nel 1931 si trasferisce a Cosenza, in Serie B. A Cosenza, giocherà tre campionati cadetti. Terminerà la carriera con una breve apparizione nel Savoia.
Conclusa l’avventura sportiva, Staccione è pronto ad iniziare il secondo tempo della sua vita. Torna a Torino, la sua città. Il suo futuro è in Fiat, come operaio. Vittorio è antifascista e socialista. Spesso viene arrestato dall’OVRA, la polizia segreta fascista. È noto per le sue “simpatie politiche”, viene tenuto sotto controllo dal regime. Vittorio, però, non si fa intimidire, ha coraggio da vendere. Durante la guerra, si avvicina alla resistenza piemontese. Nel marzo del 1944 è uno dei promotori dello sciopero contro il regime nazifascista. Incrocia coraggiosamente le braccia con migliaia di altri operai contro il nazismo. Il 13 marzo del 1944 viene arrestato dalle SS in quanto oppositore politico. Con lui viene arrestato anche suo fratello Francesco. Le SS, il giorno dell’arresto, gli comunicano che sarebbe stato deportato in un campo di concentramento. Paradossalmente, lo lasciano andare, da solo, a casa, a prepararsi per il viaggio. Vittorio avrebbe potuto scappare, darsi alla macchia. Invece, il giorno stesso, con la sua valigia, è davanti al carcere le Nuove di Torino. È lì, pronto a consegnarsi ai nazisti. Vittorio non scappa dal suo destino, lo affronta. Il 16 marzo del 1944, parte dalla stazione di Porta Nuova, con il treno di deportazione N° 34, suo fratello è sul N° 32. Il 20 marzo arriva al campo di Mauthausen, in Austria. È classificato schutzhaftling, prigioniero politico. È la matricola 59160. Viene assegnato alla “scala della morte”, una cava attraversata da 186 gradini lungo i quali è costretto a trasportare blocchi di granito. Viene picchiato, torturato. Le condizioni del campo sono disumane. Dopo un anno di prigionia, viene trasferito a Gusen. A Gusen, viene pestato dalle guardie. Le botte e le torture gli procurano una profonda ferita alla gamba. Privato delle cure necessarie, morirà di setticemia e cancrena il 16 marzo del 1945. Suo fratello Francesco morirà nove giorni dopo, il 25 marzo del 1945.
Allo stadio “Zini” di Cremona c’è una targa in bronzo. Su quella targa c’è un pallone dietro un filo spinato. Su di essa c’è scritto: «Simbolo dello Sport come impegno civile, sociale e politico, giocò da protagonista nei campi della vita per la libertà e la fratellanza degli uomini».
Quella targa assolve un debito di gratitudine nei confronti di Vittorio Staccione…l’idolo di un ragazzino di 11 anni divenuto simbolo di tutti gli atleti che hanno pagato, con la vita, la loro opposizione al fascismo…
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