La batosta per la sinistra madrileña non poteva essere più sonora: non solo ha perso nettamente le elezioni, ma la presidente uscente del Partido Popular, Isabel Díaz Ayuso, praticamente sfiora la maggioranza assoluta, con quasi il 45% dei voti e 65 seggi (69 è la maggioranza assoluta): nel 2019 ne aveva solo 30, e il 22% dei voti. Basta un’astensione dell’estrema destra di Vox (13 seggi, 1 più che due anni fa, e 9% dei voti) per tornare comodamente al governo. Due i principali perdenti: i socialisti, che da primo partito con 37 seggi e 27% dei voti, crollano a 24 con 17% dei voti (il peggior risultato di sempre), e Ciudadanos, che da 26 seggi e il 20% dei voti scompare, col 3.5% dei voti e zero rappresentanti (la soglia a Madrid è del 5%).

Secondo partito è Más Madrid, con la sua brillante candidata e medico Mónica García, che ottiene 24 seggi ma 0,2% di voti più dei socialisti dello scialbo Ángel Gabilondo, di cui i vertici socialisti hanno già chiesto la testa.

MA I RIFLETTORI sono puntati ora tutti su Podemos, il cui leader indiscusso e fondatore, Pablo Iglesias, la stessa notte elettorale ha gettato definitivamente la spugna: lascia il partito e rinuncia a essere deputato regionale. Paradossalmente, è la prima volta che Podemos migliora i propri risultati rispetto a un turno elettorale precedente: a Madrid passa da 7 a 10 deputati, passando da quasi il 6 a più del 7% dei voti. Comunque poco, e certamente non abbastanza per fermare Ayuso, che era il principale obiettivo della decisione di abbandonare la prima linea governativa a marzo.

Ma il problema – come ammette lo stesso leader viola – è che la sua figura – o la caricatura che ne fanno i suoi nemici – non agglutina più ed è, in effetti, ormai profondamente divisiva.

Certamente ha commesso errori, ma è soprattutto la campagna di attacchi sistematica e personale montata dai suoi avversari e da tutti i nemici (che sono molti, e molto potenti) che lo ha logorato in questi mesi e anni. E non si tratta solo di logoramento politico: arriva all’estremo di ricevere minacce di morte durante la campagna, che i suoi avversari hanno ridicolizzato, rompendo un grande tabù della politica spagnola. Finora i partiti vicini all’Eta che nicchiavano sulle minacce di morte ai loro avversari erano stigmatizzati dall’establishment: se invece ad assumere il ruolo di bulletti che prendono in giro la vittima che si lamenta della violenza sono Rocío Monasterio di Vox e Ayuso, evidentemente questo è accettabile politicamente per più della metà della popolazione della regione di Madrid.

PER QUANTO AYUSO e il leader del Pp Casado lo desiderino esplicitamente, però, Madrid non è la Spagna. Ci sono 41 milioni di spagnoli che non vivono nella capitale, e le dinamiche politiche sono più complesse che nella città dove il Pp governa ininterrottamente da 26 anni. Ma certo, una campagna basata sul liberismo senza limiti, pur di fronte a dati macroeconomici regionali poco incoraggianti, e soprattutto di fronte ai peggiori numeri sulla pandemia di tutta la Spagna (è qui che l’eccesso di mortalità è il più alto, e in tutto quest’anno Madrid è sempre stata fra le regioni con i peggiori dati di incidenza), è destinata a trovare molti adepti fra i leader regionali popolari senza scrupoli come Ayuso. Una Ayuso che è riuscita a cavalcare la stanchezza pandemica con l’idea che fosse personalmente Pedro Sánchez a voler impedire ai madrileños di prendersi una caña con gli amici al bar e che lei, rappresentante del partito che ha smontato sanità e istruzione pubblica e privatizzato le residenze per anziani (dove l’anno scorso si sono registrati picchi di decessi spaventosi), era la paladina della “Libertà”.

ORA A ESSERE CATAPULTATA in prima linea è la ministra del lavoro Yolanda Díaz, già “incoronata” leader di Podemos dallo stesso Iglesias, che le ha lasciato la vicepresidenza del governo. Un profilo lontanissimo da quello del leader uscente: discreta, amante del dialogo e del lavoro dietro le quinte più che davanti ai riflettori, ha inanellato in questi mesi un successo dopo l’altro, a forza di insperati accordi fra le parti sociali. È a lei, avvocata del lavoro che viene dal partito comunista spagnolo e dal sindacalismo, e che finora ha cercato di allontanare l’amaro calice, che tocca la guida del partito che voleva “assaltare i cieli”, e che dopo sette anni di vita e aver raggiunto le stanze del potere rischia di crollare assieme alla figura del suo ingombrante ex leader.

 

Luca Tancredi Barone, ilmanifesto 06.05.2021

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