di Vito Nocera.

Avevo appena 11 anni, quella notte, e su quel calciatore spagnolo prima di quella partita gia' sapevo tutto.

L'album con le figurine Panini era il mio gioco preferito.

Lui, Joaquin Peiro', era un atipico, un estroso come quelli che mi facevano impazzire.

Allora, era il 1965, gli stranieri in una squadra potevano essere solo due.

E l'Inter aveva gia' un vero a proprio monumento - Luisito Suarez - lo spagnolo arrivato dal Barcellona, uno dei piu' grandi registi di sempre.

E poi la sgusciante ala destra Jair, un brasiliano velocissimo che fece la fortuna di Herrera.

Peiro' sembrava di troppo, era stato qualche anno al Torino e ,dopo l'Inter, scese a giocare nella capitale.

Ma la mia fantasia - e quella di tutti - si inchiodo' a quel gol di ultra rapina all'attonito portiere del Liverpool, cui quello strano numero nove aveva letteralmente strappato il pallone dalle mani.

Peiro' era fatto così, non un bomber, giocava un calcio estroso, calzettoni arrotolati alle caviglie ( come Sivori e Meroni ), pochi gol, caracollava indolente e triste per il campo, con la faccia pensosa da intellettuale dell'esistenzialismo.

E quella notte di maggio - noi davanti allo schermo in bianco e nero - rubo' di fatto la Coppa dei Campioni al Liverpool per regalarla all'Inter.

Tra il clamore del virus leggo da qualche parte che e' morto e che aveva 84 anni.

Resto stupito, e' come se uno strano puntero come lui, non possa che essere immortale. 84 anni poi..

Era un irregolare, un precario, forse pensava alle sue donne e alle sue birre - di cui racconta su qualche quotidiano Sandro Mazzola oggi.

E invece, con quel gol impossibile ( uno simile lo ha segnato una volta soltanto Maradona) Joaquin Peiro' e' diventato per sempre una leggenda.

Condividi