di Fosco Taccini

Gli effetti della pandemia da Coronavirus si fanno ancora sentire, e così sarà anche nell’immediato futuro. In questa fase, pertanto, è solo possibile fare delle ipotesi su come sarà il dopo, e come potremo affrontare le tante sfide del post emergenza Covid-19. Quindi, è sempre più necessario mantenere vivo il dibattito e il confronto su molti temi: dall’economia alla sanità, dalla politica alla società, dalla cultura alle nuove tecnologie. Per questo motivo, proseguono le interviste di Dibattiti d’autore per fornire un utile contributo al mondo di domani. L’ospite di questa terza puntata è Chiara Geloni, autrice del libro ‘Titanic – Come Renzi ha affondato la sinistra’ (postfazione di Pier Luigi Bersani).
 
Ciao Chiara, grazie per aver accettato l’invito di Dibattiti d’autore per questa intervista, immagino che tu abbia reimpostato (come tutti noi) un po’ l’insieme della tua vita al tempo del Coronavirus. Quali impressioni ci puoi dare dal tuo punto di osservazione?
"Per fortuna la mia esperienza non ha niente di drammatico, come invece è stato purtroppo per tante persone. Un po’ più di solitudine, un po’ più di tempo per riflettere e, per chi ha voluto, pregare. Noi, che non abbiamo dovuto affrontare direttamente le tragedie della malattia, abbiamo tutti affrontato un piccolo esame di maturità. Abbiamo imparato a fare cose che non facevamo, per me prima di tutto cucinare un pochino, visto che di solito a casa non ci sono mai! Abbiamo accettato di apparire e di essere un po’ meno pettinati, un po’ peggio illuminati, forse di pensare un po’ più all’essenziale. Abbiamo imparato a vivere alcuni fatti collettivi – la Pasqua, il 25 aprile – restando completamente soli. La rete ci ha aiutato molto, con i social e le piattaforme per fare riunioni ma anche per chiacchierare con gli amici". 
 
Sei giornalista, hai una grande esperienza nel mondo della comunicazione (sei stata vicedirettore di Europa e direttore di Youdem) e attualmente tra i tuoi tanti incarichi dirigi anche il sito web di Articolo Uno. A tuo parere, la comunicazione si sta muovendo nel modo giusto in questa complessa fase dell’emergenza Covid-19?
"Luci e ombre. Come dicevo, siamo stati tutti più essenziali e i talk show non hanno fatto eccezione. Alcune giornaliste hanno rinunciato al trucco per esempio, o si sono truccate da sole. Per non mettere a rischio nessuno, ma anche perché il clima di quei giorni rendeva meno necessario apparire perfette e luccicanti. Senza pubblico e senza applausi, i talk dovevano perdere interesse e ritmo, invece a un certo punto tanti hanno cominciato a riflettere – e a quanto so stanno riflettendo – sul fatto che così il ragionamento è più sobrio, meno spezzato, meno alla ricerca della battuta a effetto; le competenze sono più valorizzate e gli ospiti dialogano meglio, e soprattutto il pubblico segue meglio, apprezza di più. Complessivamente i talk hanno saputo trovare un tono nuovo, giusto. Informando senza angosciare, ma anche senza banalizzare. Non dimentichiamo che giornali e trasmissioni sono stati realizzati in condizioni difficilissime, lavorando spesso da casa e con enormi difficoltà tecniche. In alcuni ambiti però ho visto prevalere un po’ di autoreferenzialità, per esempio in quello del racconto politico: come se la gravità dei problemi non venisse percepita fino in fondo, e avesse importanza l’orario di una conferenza stampa o le modalità di un annuncio, o mezza giornata in più per scrivere un decreto. Mentre a me pare che gli italiani capissero benissimo la difficoltà del momento e di chi ha avuto il compito di guidare il paese". 
 
Questa pandemia lascerà effetti molto pesanti sull’economia, e su tanti aspetti della vita delle persone. Si dice che nulla sarà più come prima. C’è un aspetto che maggiormente ti colpisce?
"La centralità della rete, sicuramente. Non so cosa sarà del cosiddetto smart working sul piano contrattuale e legislativo: per ora si è trattato più di lavoro in emergenza che di vero e proprio lavoro a distanza. Ma sono sicura che ci cono cose che non torneremo a fare come prima: parlo della nostra vita associativa, politica, culturale e anche sociale. Fare alcuni tipi di riunioni su una piattaforma web è troppo più comodo e più conveniente in termini di soldi, energie, tempo, perché non si decida di continuare a usare prevalentemente, anche finita l’emergenza, queste modalità. Questo cambierà la politica, la vita pubblica di questo paese. Ma non per forza in peggio. Con le piattaforme non abbiamo solo lavorato o fatto riunioni politiche (a volte meglio, con più puntualità, ordine, rispetto degli altri di prima): ci siamo anche fatti tanta compagnia". 
 
Passiamo adesso, se per te va bene, al tuo libro per creare una rotta efficace anche in questo periodo. L’immagine del Titanic rappresenta in modo plastico la crisi attraversata dall’Italia, a più livelli, nell’ultimo decennio. C’è un elemento che più di tutti ti ha consentito di scegliere proprio questa immagine?
"Titanic per me è prima di tutto una canzone che io definisco infinita. Non c’è volta che la ascolto senza trovare qualcosa di nuovo nella musica e nelle parole di quell’affresco, di quella metafora inevitabile che è la vicenda dell’affondamento della nave che non poteva affondare. Perché anche la metafora del Titanic, anche senza la poesia di cui l’ha rivestita De Gregori, è infinita. E giuro che presentando il libro in giro per l’Italia, ascoltando le persone che venivano a discuterne con me, io di significati di quella metafora ne ho scoperti altri a cui non avevo mai pensato. Nel racconto del mio libro il Titanic, la nave guidata da un capitano che convinto dal suo sogno di onnipotenza la porta a sbattere contro un iceberg, è la sinistra. Il mozzo di bordo sono i pochi che l’iceberg lo hanno visto e hanno provato in ogni modo a lanciare l’allarme; mentre tante orchestrine continuavano a suonare… Adesso tanti non lo ricordano, o fanno finta. Ma io penso che ciò che è avvenuto in questi anni non vada dimenticato. Lo dico, e l’ho scritto, per amore della politica, e della sinistra. Che deve assolutamente ritrovare la rotta dopo quel naufragio".
 
Scorrendo le pagine del tuo libro si avverte la sensazione che qualcosa stava avvenendo, e poi che si sia concretizzata con tutti gli effetti che conosciamo. Ci sono, oggi, degli aspetti utili di quelle vicende da cui ripartire?
"Io credo che, senza fare processi o chiedere autocritiche, perché altrimenti non ne usciamo, abbiamo il dovere di continuare a dire che la sinistra aveva sbagliato strada, e a chiederci perché. Non è vero che questa vicenda è alle nostre spalle e non è vero che siamo tutti d’accordo su cosa ci è successo. Altrimenti non avremmo una sinistra che, sebbene dopo l’errore di Salvini e grazie a un sussulto quasi istintivo di sopravvivenza politica abbia ritrovato centralità e sia di nuovo al governo del paese, appare tuttora divisa, poco propositiva e quasi ferma sulle gambe. Non basterà per ritrovare la strada recuperare un paio di punti percentuali, anche se ci siamo tutti riscaldati il cuore per risultati elettorali finalmente confortanti come quello dell’Emilia Romagna, dopo anni di sconfitte costanti e sempre più gravi. Certo che le cose vanno meglio. Ma ci vuole un nuovo messaggio per tornare a parlare al paese. E anche un nuovo linguaggio. Una credibilità". 
 
Titanic, grazie anche alle tante presentazioni che hai fatto durante il 2019, è stato un utile strumento per alimentare il dibattito nella sinistra italiana. Pensi che ci siano degli elementi o aspetti che hanno bisogno di un’ulteriore fase di riflessione?
"La pandemia, oltre che una tragedia, può essere un’occasione. Può riportarci, lo dicevamo, all’essenziale. Ma la sinistra è capace di dire l’essenziale e di mettersi alla guida dei processi nuovi? Di dire parole chiare non solo sulla sanità pubblica, ora è quasi facile anche se in questi anni non è stato per niente scontato, ma sui beni comuni, su un fisco più giusto, su un lavoro meno frammentato e su una società meno disuguale? Guardo alle scelte del governo, che pure si regge su una maggioranza plurale e problematica ma in cui il ruolo della sinistra non è poi così secondario, e mi rispondo: a volte sì, a volte no. Ma i prossimi mesi saranno decisivi per queste sfide". 
 
C’è una domanda su una parte del tuo libro che non ti è stata mai fatta, ma di cui invece vorresti parlare?
"Onestamente non mi pare… Penso che l’interesse del libro, anche per chi più o meno i fatti li conosce, stia nel rimettere in fila episodi singoli che acquistano senso se rivissuti tutti insieme… Poi c’è qualche 'chicca', ma lasciamola al piacere di chi avrà voglia di leggere". 

Molte volte si è sostenuto che si era consumato uno scollamento anche fisico tra popolo, militanti e partito. Hai già qualche idea su come sarà possibile ricucire questi legami al tempo del distanziamento sociale?
"Come dicevo, questa esperienza ci può anche aiutare. È diventato più facile fare riunioni, organizzare iniziative, per una politica che fra l’altro drammaticamente non ha più un soldo da spendere. Noi come Articolo Uno, ti posso garantire, facciamo più iniziative di prima. E arriviamo a più persone. Ma il problema è più di fondo e non voglio eluderlo. La sinistra come dicevo deve ritrovare le parole, e prima ancora la credibilità, per parlare a persone che dalla politica non sentono più dire parole che abbiano un senso per la loro vita. Questo significa prima di tutto esserci. Condividere la vita delle persone per parlare alla loro vita, non essere autoreferenziali. Stare nelle tante cose che si muovono anche spontaneamente a livello sociale, non per metterci il cappello ma per essere percepiti come interlocutori credibili e vicini. Cambieranno molte cose nella vita della gente, c’è un tempo nuovo che è già cominciato". 

E quali scenari futuri ti immagini per svolgere la nostra azione politica?
"Spero che avremo un campo grande, plurale e nuovo per fare politica. A me non piacciono le scialuppe dove si sta comodi in pochi. La pandemia lo ha dimostrato, ci si salva tutti insieme. Vale anche per la sinistra, ma occhi aperti e buoni capitani stavolta!"

Grazie Chiara, quando sarà possibile mi piacerebbe averti ospite a Dibattiti d’autore, chissà magari con un nuovo libro… 
"Grazie. Sarà un piacere!"

Condividi