“Necessaria una normativa regionale che disciplini in maniera più organica l’installazione di impianti a biogas in Umbria, privilegiando le strutture di piccole dimensioni e mettendo i cittadini e i Comuni nelle condizioni di analizzare i progetti e di esprimere giudizi su interventi che incidono profondamente sul territorio”.  Lo affermano, in una nota congiunta, i consiglieri regionali del Pd Andrea Smacchi e Luca Barberini, sottolineando che “il Consiglio regionale deve potersi esprimere su tematiche di questo genere, che riguardano l’interesse generale” e annunciando che si faranno “promotori di azioni normative volte a far riappropriare delle sue prerogative l’organo legislativo regionale, magari attraverso specifiche audizioni nelle commissioni competenti dove far emergere definitivamente, dopo aver ascoltato i problemi rappresentati, quali siano le posizioni dei singoli consiglieri e della Giunta”.

“Da oltre un anno – spiegano i due esponenti del Pd – stiamo studiando lo strano fenomeno delle richieste di installazione di grandi impianti a biogas nella nostra regione e abbiamo notato che vengono scelti sempre comuni medio-piccoli, forse perché in questi territori è più facile trovare cittadini impreparati e amministratori indifesi ai quali far passare sopra la testa decisioni che segneranno il loro futuro per moltissimi anni. Pensiamo che la politica regionale – commentano - debba mettere fine, una volta per tutte, a questa tecnica di aggiramento dell’opinione pubblica e adottare strumenti normativi che, anche laddove i Comuni non abbiano adottato il Piano energetico ambientale o individuato aree non idonee, consentano a cittadini e  amministratori di incidere significativamente sulla decisione finale da assumere”.

Per Smacchi e Barberini, dunque, “è necessario valorizzare il ruolo dei Comuni, che devono partecipare attivamente e in maniera più incisiva alla scelta dei siti da destinare agli impianti. Il legislatore regionale – proseguono - deve, inoltre,  dare un indirizzo chiaro che privilegi impianti di prossimità, cioè quelle strutture che utilizzano prodotti dei terreni attigui agli stessi, rispetto a grandi installazioni ad uso prettamente speculativo che deturpano i territori e obbligano a convertire terreni agricoli fertili in terreni a produzione intensiva di materiale non alimentare. Significativa, in questo contesto – concludono -, è l’esperienza di alcune regioni del nord Italia, come Lombardia, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige, che stanno frettolosamente tornando sui propri passi dopo aver appurato il difficile equilibrio costi-ricavi dei grandi impianti, che pur funzionando nel rispetto rigoroso dell'ambiente, danno comunque origine a spargimento dei residui  nei terreni e all'inquinamento causato dagli automezzi di trasporto”.

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