Di Vito Meloni (Responsabile Nazionale Scuola PRC)

C'è perfino chi, leggendo la manovra del governo Monti, è riuscito a trovare motivo di soddisfazione: non ci sono nuovi tagli su scuola, università e ricerca. Reazione comprensibile, se si pensa che negli ultimi tre anni, provvedimento dopo provvedimento, questi settori sono stati oggetto di un accanimento senza pari da parte del precedente governo. Sarebbe sufficiente però analizzare con un minimo di attenzione le misure economiche per rendersi conto che si tratta di una ben magra consolazione. Non solo per il loro impatto sulla condizione materiale di lavoratori già duramente colpiti dal blocco dei contratti e dei meccanismi di adeguamento automatico di stipendi in gran parte già al limite della sopravvivenza. Nelle scuole, tanto per fare un esempio, l'innalzamento dell'età di pensionamento - in particolare delle donne - comporterà il mantenimento forzoso in servizio, senza benefici, per decine di migliaia di docenti, con l'azzeramento di fatto del turn-over per i prossimi cinque/sei anni. A farne le spese, oltre ai diretti interessati, saranno i precari già vittime di quello che giustamente è stato definito il più grande licenziamento di massa della storia repubblicana.

Resto convinto, tuttavia, che per affrontare i problemi dell'istruzione, e della scuola pubblica in particolare, serva un approccio diverso. Il problema, come sempre, è se la scuola pubblica deve essere trattata come un centro di spesa o come una straordinaria ed insostituibile risorsa per la crescita culturale, sociale, civile e democratica del Paese sulla quale investire. Sotto questo profilo non c'è da aspettarsi molto dal professor Monti, basti ricordare il suo plauso alle “riforme” della Gelmini e di Marchionne, salutate come le uniche vere innovazioni positive di questi anni. Quello che appare però dietro l'alibi della crisi economica e il velo della presunta neutralità “tecnica” degli interventi è la più piatta continuità con le politiche di distruzione del mandato costituzionale della scuola pubblica portate avanti dal governo precedente.

Nell'illustrazione alle Camere del suo programma di governo, Monti ha dedicato alla scuola un breve ma illuminante passaggio: “Sara necessario mirare all’accrescimento dei livelli di istruzione della forza lavoro, che sono ancora oggi nettamente inferiori alla media europea, anche tra i più giovani. Vi contribuiranno interventi mirati sulle scuole e sulle aree in ritardo – identificando i fabbisogni anche mediante i test elaborati dall’INVALSI – e la revisione del sistema di selezione, allocazione e valorizzazione degli insegnanti”. Ne emerge una visione angusta delle finalità dell'istruzione, tutta piegata ai bisogni della produzione, lontana mille miglia dall'idea che i risultati dei processi di apprendimento non siano misurabili con qualche test e non siano traducibili in termini di valore di scambio. Ancora più sconfortanti le parole del ministro Profumo. È pronto a dialogare con tutti il nuovo titolare dell'istruzione, purché sia chiaro che la riforma Gelmini non si cambia! Le classi scoppiano per il sovraffollamento? Nessun problema, basterà utilizzare le tecnologie e vedrete che 30 alunni per classe vi sembreranno perfino pochi! Le risorse economiche sono poche e le scuole non ce la fanno più? Si tratta solo di utilizzare meglio i fondi esistenti. Ma per sentire sciocchezze simili non ci bastavano Gelmini e Tremonti?

Qualche settimana fa, con una intelligente provocazione, Liberazione suggerì a Monti una lista alternativa di ministri. Proviamoci ancora, a questo punto con qualche proposta di merito.
Nel 2012 il ridimensionamento del bilancio dell'istruzione pubblica sfiorerà la cifra record di 4 miliardi di euro in meno. I costi di questa operazione graveranno sempre di più sulle famiglie che già oggi, attraverso il cosiddetto contributo volontario, garantiscono il funzionamento delle scuole in misura spesso superiore al finanziamento statale. Blocchi subito questo taglio signor Ministro, se non vuole che la scuola pubblica sia spinta ancora più velocemente verso il disastro. Scelga lei dove prendere i soldi, dai finanziamenti incostituzionali alle scuole private o dai miliardi destinati all'acquisto di 135 caccia bombardieri. Oppure, se preferisce, dai capitali scudati, dalla vendita delle frequenze televisive o dalla tassazione dei grandi patrimoni e delle transazioni finanziarie. Ne troverebbe a sufficienza per investire nella scuola e per non massacrare lavoratori e pensionati.

Lanci un grande piano per la messa in sicurezza delle scuole, molti illustri economisti le potranno spiegare che, oltre alla doverosa tutela dell'incolumità fisica dei nostri ragazzi, ne trarrebbero beneficio anche l'economia e il lavoro.
Assicuri agli studenti con disabilità il sostegno cui hanno diritto senza costringere quanti ne hanno la forza a rivolgersi alla magistratura e gli altri, i tanti altri, a rinunciarvi. Assolverebbe un elementare dovere civico.
Garantisca un futuro di stabilità alle decine di migliaia di precari che per tanti anni, sulla loro pelle, hanno permesso alla scuola di funzionare. La scuola ne guadagnerebbe in qualità.
L'elenco sarebbe molto lungo, mi fermo qui per ragioni di spazio.
La scuola è un organismo delicato, avrebbe bisogno di cura, di tanta cura. Lo chiedono con forza gli studenti, i docenti e i genitori che si sono mobilitati in questi anni. Ho, purtroppo, la certezza che le politiche di questo governo vadano in tutt'altra direzione. Stanno anche in questo le ragioni della nostra opposizione.

Fonte: controlacrisi.org

 

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