di Furio Benigni

Leggendo la raccolta di articoli a cura di Giuseppe Mattioli dal titolo, “Umbria: tra memoria, realtà e futuro”, è come se avessi ripercorso un consistente tratto del “viale” della mia vita. Camminando lentamente mi sono soffermato, di tanto in tanto, guardando a destra e a sinistra, per rivedere i compagni e gli amici protagonisti di vicende e fatti di quel brillante periodo che va dalla Lotta di Resistenza agli anni ottanta del 1900.
Vicende e fatti a noi care sulle quali domandarsi perché, al netto delle innegabili conquiste sociali raggiunte da coloro che ci hanno preceduto e, poi, da tanti ai quali abbiamo anche dato il nostro modesto aiuto, ci troviamo nella situazione odierna in cui una sinistra è stata sciolta e, un’altra, di spessore, non è risorta. Abbiamo capito fin da subito che, potenze esterne, stavano promuovendo una controffensiva all’avanzata democratica della sinistra degli anni d’oro che vanno dalle elezioni politiche del 1968 a quelle del 1976, poggiando sui soliti nostalgici e su delinquenti comuni. Infatti, basta pensare al periodo del terrorismo, al rapimento e l’assassinio del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro.
Moro era inviso a una parte del mondo occidentale solo perché aveva capito, prima di tutti, che in Italia un’apertura alle forze del lavoro era ormai indispensabile anche in considerazione della presenza di una controparte consapevole e attenta ai rapporti di carattere internazionale intercorrenti in quel periodo di tempo. Parliamoci francamente: un ruolo non positivo è stato giocato anche da coloro che, una parte in buona fede un’altra meno, ha tentato di percorrere scorciatoie senza prima di averle attentamente scandagliate. Continuando a leggere il libro e ripercorrere il “viale”, centinaia di vicende mi sono ritornate in mente. Una per tutte: il giorno dell’insediamento del primo Consiglio Regionale dell’Umbria con interventi del presidente Pietro Conti e di Vinci Grossi. Poi la lunga stagione di importanti azioni di sviluppo, anche per i comuni minori come il mio, fino alla fine della presidenza Mandarini.
Mi riservo di commentare, in seguito, il resto del libro

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