FRANCESCO CHIEDE DI FERMARE LA GUERRA IN UCRAINA E CERCARE SOLUZIONE NEL DIALOGO
di Sante Cavalleri
“Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione”. Con queste paroledel Concilio Vaticano II, Papa Francesco ha condannato le azioni militari in Ucraina nel discorso d’inizio anno al Corpo Diplomatico. “Oggi – ha scandito Francesco – è in corso la terza guerra mondiale di un mondo globalizzato, dove i conflitti interessano direttamente solo alcune aree del pianeta, ma nella sostanza coinvolgono tutti. L’esempio più vicino e recente è proprio la guerra in Ucraina, con il suo strascico di morte e distruzione; con gli attacchi alle infrastrutture civili che portano le persone a perdere la vita non solo a causa degli ordigni e delle violenze, ma anche di fame e di freddo”.
“Non dimentichiamo poi che la guerra colpisce particolarmentele persone più fragili – i bambini, gli anziani, i disabili – e lacera indelebilmente le famiglie. Non posso che rinnovare quest’oggi il mio appello a far cessare immediatamente questo conflitto insensato, i cui effetti interessano intere regioni, anche fuori dall’Europa a causa delle ripercussioni che esso ha in campo energetico e nell’ambito della produzione alimentare, soprattutto in Africa ed in Medio Oriente”.
“Le preclusioni e i veti reciproci non portano che ad alimentare ulteriori divisioni”, ha spiegato il Papa incoraggiando da una parte i negoziati tra Russia e Ucraina, che in effetti stentano a partire, e dall’altra anche “una riforma” delle istituzioni internzionali, a partire dall’ONU, affinchè tali organi “siano realmente rappresentativi delle necessità e delle sensibilità di tutti i popoli, evitando meccanismi che diano ad alcuni maggior peso a scapito di altri”. “Non si tratta dunque di costruire blocchi di alleanze, ma di creare opportunità perché tutti possano dialogare”, ha chiarito Francesco ricordando che “il compito della diplomazia è proprio quello di appianare i contrasti per favorire un clima di reciproca collaborazione e fiducia per il soddisfacimento di comuni bisogni”.
Secondo il Pontefice, infatti, “l’attuale conflitto in Ucraina ha reso più evidente la crisi che da tempo interessa il sistema multilaterale, il quale abbisogna di un ripensamento profondo per poter rispondere adeguatamente alle sfide del nostro tempo”.
Inoltre, ha denunciato Papa Francesco, “tutti i conflitti pongono comunque in rilevo le conseguenze letali di un continuo ricorso alla produzione di nuovi e sempre più sofisticati armamenti, talvolta giustificata adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Occorre scardinare tale logica e procedere sulla via di un disarmo integrale, poiché nessuna pace è possibile laddove dilagano strumenti di morte”.
“Sotto la minaccia di armi nucleari siamo tutti sempre perdenti!”
In un contesto assai preoccupante come quello che stiamo attraversando, “purtroppo, ancora oggi la minaccia nucleare viene evocata, gettando il mondo nella paura e nell’angoscia. Non posso che ribadire in questa sede che il possesso di armi atomiche è immorale poiché, come osservava Giovanni XXIII nella Pace in terris, ‘se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di ssumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico’”.
“Sotto la minaccia di armi nucleari siamo tutti sempre perdenti!”, ha gridato il Papa sottolineando che “da questo punto di vista, particolare preoccupazione desta lo stallo dei negoziati circa il riavvio del Piano d’azione congiunto globale, meglio noto come Accordo sul nucleare iraniano. Auspico che si possa arrivare al più presto ad una soluzione concreta per garantire un avvenire più sicuro”.
Il dialogo promettente tra la Santa Sede e la Cina
La diplomazia, ha ricordato Francesco, “è un esercizio di umiltà perché richiede di sacrificare un po’ di amor proprio per entrare in rapporto con l’altro, per comprenderne le ragioni e i punti di vista, contrapponendosi così all’orgoglio e alla superbia umana, causa di ogni volontà belligerante”. In proposito il Papa si è detto “riconoscente per l’attenzione che i vostri Paesi rivolgono alla Santa Sede, marcata, tra l’altro, nel corso dell’ultimo anno, dalla scelta della Svizzera, della Repubblica del Congo, del Mozambico e dell’Azerbaigian di nominare Ambasciatori residenti a Roma, come pure dalla sottoscrizione di nuovi accordi bilaterali con la Repubblica Democratica di São Tomé e Principe e con la Repubblica del Kazakhstan”. “In questa sede – ha aggiunto – mi preme ricordare pure che, nel contesto di un dialogo rispettoso e costruttivo, la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese hanno concordato di prorogare per un altro biennio la validità dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi, stipulato a Pechino nel 2018. Auspico che tale rapporto collaborativo possa svilupparsi a favore della vita della Chiesa cattolica e del bene del Popolo cinese”.
Tante aree di crisi che sollecitano un dialogo multilaterale
“La terza guerra mondiale a pezzi che stiamo vivendo ci porta – ha poi continuato Bergoglio compilando una sua rassegna delle aree di crisi – a considerare altri teatri di tensioni e conflitti. Anche quest’anno, con tanto dolore, dobbiamo guardare alla Siria come a una terra martoriata. La rinascita di quel Paese deve passare attraverso le necessarie riforme, anche costituzionali, nel tentativo di dare speranza al popolo siriano, afflitto da una povertà sempre crescente, evitando che le sanzioni internazionali imposte abbiano riflessi sulla vita quotidiana di una popolazione che ha già sofferto tanto”.
“La Santa Sede – ha ribadito inoltre – segue anche con preoccupazione l’aumento della violenza tra palestinesi e israeliani, con la conseguenza drammatica di molte vittime e di una totale sfiducia reciproca. Particolarmente colpita è Gerusalemme, città santa per ebrei, cristiani e musulmani. La vocazione iscritta nel suo nome è di essere Città della Pace, ma purtroppo si trova ad essere teatro di scontri. Confido che essa possa ritrovare tale vocazione ad essere luogo e simbolo di incontro e di coesistenza pacifica, e che l’accesso e la libertà di culto nei Luoghi Santi continui ad essere garantito e rispettato secondo lo status quo. Allo stesso tempo, auspico che le autorità dello Stato d’Israele e quelle dello Stato di Palestina possano ritrovare il coraggio e la determinazione nel dialogare direttamente al fine di implementare la soluzione dei due Stati in tutti i suoi aspetti, in conformità con il diritto internazionale e con tutte le pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite”.
Francesco ha poi anche accennato al viaggio che che tra poche settimane lo porterà “pellegrino di pace nella Repubblica Democratica del Congo, con l’auspicio che cessino le violenze nell’est del Paese e prevalga la via del dialogo e la volontà di lavorare per la sicurezza e il bene comune. Il pellegrinaggio proseguirà in Sud Sudan, dove sarò accompagnato dall’Arcivescovo di Canterbury e dal Moderatore Generale della Chiesa Presbiteriana di Scozia. Insieme desideriamo unirci al grido di pace della popolazione e
contribuire al processo di riconciliazione nazionale”.
Ma, ha proseguito il Papa, “non dobbiamo neppure dimenticare altre situazioni in cui continuano a pesare le conseguenze di conflitti non ancora risolti. Penso in particolare alla situazione nel Caucaso meridionale. Esorto le parti a rispettare il cessate il fuoco, ribadendo che la liberazione dei prigionieri militari e civili sarebbe un passo importante verso un desiderato accordo di pace. Penso, altresì, allo Yemen, dove regge la tregua raggiunta nell’ottobre scorso ma tanti civili continuano a morire a causa delle mine, e all’Etiopia, dove auspico che continui il processo di pacificazione e si rafforzi l’impegno della Comunità internazionale per affrontare la crisi umanitaria che interessa il Paese.
Seguo con apprensione pure la situazione in Africa Occidentale, sempre più afflitta dalle
violenze del terrorismo. Penso, in particolare, ai drammi che vivono le popolazioni del Burkina Faso, del Mali e della Nigeria e auspico che i processi di transizione in corso in Sudan, Mali, Ciad, Guinea e Burkina Faso si svolgano nel rispetto delle aspirazioni legittime delle popolazioni coinvolte. Seguo parimenti con particolare attenzione la situazione del Myanmar, che ormai da due anni sperimenta violenza, dolore e morte. Penso, infine, alla penisola coreana, per la quale auspico che non vengano meno la buona volontà e l’impegno per la concordia, al fine di costruire la tanto desiderata pace e la prosperità per l’intero popolo coreano. “Invito la Comunità internazionale ad adoperarsi per concretizzare i processi di riconciliazione ed esorto tutte le parti coinvolte a riprendere il cammino del dialogo per ridonare speranza alla popolazione di quell’amata terra”.
Il Papa ha ricordato anche “le varie crisi politiche in diversi Paesi del continente americano, con il loro carico di tensioni e forme di violenza che acuiscono i conflitti sociali. Penso specialmente a quanto accaduto
recentemente in Perù e nelle utime ore in Brasile, e alla preoccupante situazione ad Haiti, dove si stanno finalmente compiendo alcuni passi per affrontare la crisi politica in atto da tempo. Occorre sempre superare le logiche di parte e adoperarsi per l’edificazione del bene comune.
Seguo, poi, con attenzione la situazione in Libano, dove si è ancora in attesa dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e auspico che tutti gli attori politici si impegnino per consentire al Paese di riprendersi dalla drammatica situazione economica e sociale in cui versa”.
Il diritto ad emigrare e a stabilirsi dove si desidera
Il Papa ha poi ricordato i quattro pilastri della Pacem in terris: verità, giustizia, solidarietà e libertà, osservando che alla luce di tali principi “tanto bene si può fare insieme, basti pensare alle lodevoli iniziative destinate a ridurre la povertà, ad aiutare i migranti, a contrastare i cambiamenti climatici, a favorire il disarmo nucleare e ad offrire aiuto umanitario”. “Ogni essere umano – ha messo in chiaro Francesco – ha il diritto alla libertà di movimento, […] di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse e deve avere la possibilità di fare ritorno alla propria terra d’origine”. E tuttavia, ha ammesso realisticamente, “la migrazione è una questione per la quale procedere in ordine sparso non è ammissibile. Per comprenderlo basta guardare al Mediterraneo, divenuto un grande cimitero. Quelle vite spezzate sono l’emblema del naufragio della nostra civiltà, come ho avuto modo di richiamare nel corso del mio viaggio a Malta nella primavera scorsa. In Europa, è urgente rafforzare la cornice normativa, attraverso l’approvazione del Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, perché si possano implementare adeguate politiche per accogliere, accompagnare, promuovere e integrare i migranti”.
“Nello stesso tempo – ha rilevato il Papa – la solidarietà esige che le doverose operazioni di assistenza e cura dei naufraghi non gravino interamente sulle popolazioni dei principali punti d’approdo”.
Il rispetto del diritto alla vita apertamente violato dalla pena di morte e dalla discriminazione sessuale
“Nonostante gli impegni assunti da tutti gli Stati di rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali di ogni persona, ancor oggi, in molti Paesi, le donne – ha denunciato il Papa – sono considerate come cittadini di
seconda classe. Sono oggetto di violenze e di abusi e viene loro negata la possibilità di studiare, di
lavorare, di esprimere i propri talenti, l’accesso alle cure sanitarie e persino al cibo. Invece, ove i
diritti umani sono riconosciuti pienamente per tutti, le donne possono offrire il proprio contributo
insostituibile alla vita sociale ed essere prime alleate della pace”.
“La pace – è stato il ragionamento del Pontefice – esige anzitutto che si difenda la vita, un bene che oggi è messo a repentaglio non solo da conflitti, fame e malattie, ma fin troppo spesso addirittura dal grembo materno, affermando un presunto ‘diritto all’aborto’. Nessuno può vantare però diritti sulla vita di un altro essere umano,
specialmente se è inerme e dunque privo di ogni possibilità di difesa. Faccio, dunque, appello alle
coscienze degli uomini e delle donne di buona volontà, particolarmente di quanti hanno responsabilità
politiche, affinché si adoperino per tutelare i diritti dei più deboli e venga debellata la cultura dello
scarto, che interessa purtroppo anche i malati, i disabili e gli anziani. Vi è una precipua responsabilità
degli Stati di garantire l’assistenza dei cittadini in ogni fase della vita umana, fino alla morte naturale,
facendo in modo che ciascuno si senta accompagnato e curato anche nei momenti più delicati della
propria esistenza”.
Secondo il Papa, “il diritto alla vita è minacciato anche laddove si continua a praticare la pena di morte, come sta accadendo in questi giorni in Iran, in seguito alle recenti manifestazioni, che chiedono maggiore rispetto per la dignità delle donne. La pena di morte non può essere utilizzata per una presunta
giustizia di Stato, poiché essa non costituisce un deterrente, né offre giustizia alle vittime, ma alimenta
solamente la sete di vendetta. Faccio, perciò, appello perché la pena di morte, che è sempre
inammissibile poiché attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona, sia abolita nelle legislazioni
di tutti i Paesi del mondo. Non possiamo dimenticare che fino all’ultimo momento, una persona può
convertirsi e può cambiare”.
Francesco ha stigmatizzato, inoltre, una “paura” della vita, che si traduce in molti luoghi
“nel timore dell’avvenire e nella difficoltà a formare una famiglia e mettere al mondo dei figli. In
alcuni contesti, penso ad esempio all’Italia, è in atto un pericoloso calo della natalità, un vero e proprio
inverno demografico, che mette in pericolo il futuro stesso della società. Al caro popolo italiano,
desidero rinnovare il mio incoraggiamento ad affrontare con tenacia e speranza le sfide del tempo
presente, forte delle proprie radici religiose e culturali”.
Ma, ha detto con una punta di ottimismo, se “le paure trovano alimento nell’ignoranza e nel pregiudizio per degenerare facilmente in conflitti. L’educazione è il loro antidoto. La Santa Sede promuove una visione integrale
dell’educazione, in cui il culto dei valori religiosi e l’affinamento della coscienza morale procedano
di pari passo con la sempre più ricca assimilazione di elementi scientifico-tecnici”.
Mentre “è preoccupante che ci siano persone che vengono perseguitate solo perché professano pubblicamente la loro fede e sono molti i Paesi in cui la libertà religiosa è limitata. Circa un terzo della popolazione mondiale vive
in questa condizione. Insieme alla mancanza di libertà religiosa, vi è anche la persecuzione per motivi
religiosi. Non posso non menzionare, come alcune statistiche dimostrano, che un cristiano ogni sette
viene perseguitato”. Al riguardo, Francesco ha espresso “l’auspicio che il nuovo Inviato Speciale dell’Unione Europea per la promozione della libertà di religione o di credo al di fuori dell’Unione Europea, possa disporre delle risorse e dei mezzi necessari per svolgere adeguatamente il proprio mandato. Nello stesso tempo, è bene non dimenticare che la violenza e le discriminazioni contro i cristiani aumentano anche in Paesi dove questi non sono una minoranza”.
In effetti, ha ribadito il Papa, “la libertà religiosa è messa in pericolo anche laddove i credenti vedono ridotta la possibilità di esprimere le proprie convinzioni nell’ambito della vita sociale, in nome di un malinteso concetto di inclusione. La libertà religiosa, che non può ridursi alla mera libertà di culto, è uno dei requisiti minimi necessari per vivere in modo dignitoso e i governi hanno il dovere di proteggerla e di garantire a ogni persona, compatibilmente con il bene comune, l’opportunità di agire secondo la propria coscienza anche nell’ambito della vita pubblica e nell’esercizio della propria professione”.
L’esigenza di uno sviluppo veramente sostenibile
Francesco si è quindi soffermato sull’ambito che riguarda l’economia e il lavoro. “Le crisi succedutesi negli ultimi anni hanno posto in evidenza i limiti di un sistema economico teso più a creare profitto per pochi che opportunità di benessere per molti; un’economia maggiormente tesa al denaro che non alla produzione di beni utili. Ciò ha generato imprese più fragili e mercati del lavoro altamente iniqui. Occorre – ha indicato il Papa – ridare dignità all’impresa e al lavoro, combattendo ogni forma di sfruttamento che finisce per trattare i lavoratori
alla stregua di una merce, poiché senza lavoro degno e ben remunerato i giovani non diventano veramente adulti, le diseguaglianze aumentano”.
“Tuttavia, in tempi recenti, i vari fori internazionali – ha lamentato Francesco – sono stati
contraddistinti da crescenti polarizzazioni e da tentativi di imporre un pensiero unico, che impedisce
il dialogo e marginalizza coloro che la pensano diversamente. C’è il rischio di una deriva, che assume
sempre più il volto di un totalitarismo ideologico, che promuove l’intolleranza nei confronti di chi
non aderisce a pretese posizioni di ‘progresso’, le quali in realtà sembrano portare piuttosto a un
generale regresso dell’umanità, con violazione della libertà di pensiero e di coscienza.
Inoltre, risorse sempre maggiori sono state impiegate per imporre, specialmente nei confronti
dei Paesi più poveri, forme di colonizzazione ideologica, creando peraltro un nesso diretto fra
l’elargizione di aiuti economici e l’accettazione di tali ideologie. Ciò ha affaticato il dibattito interno
alle Organizzazioni internazionali, precludendo scambi fruttuosi e aprendo spesso alla tentazione di
affrontare le questioni in modo autonomo e, conseguentemente, sulla base di rapporti di forza.
D’altronde, durante il mio viaggio in Canada, nel luglio scorso, ho potuto toccare con mano
le conseguenze della colonizzazione, incontrando in special modo le popolazioni indigene, che hanno
sofferto per le politiche di assimilazione del passato. Laddove si cerca di imporre ad altre culture
forme di pensiero che non appartengono loro si apre la strada ad aspri confronti e talvolta anche alla
violenza”.
“È necessario – ha concluso infine – tornare al dialogo, all’ascolto reciproco e al negoziato, favorendo responsabilità condivise e la cooperazione nella ricerca del bene comune, nel segno di quella solidarietà che deriva dal saperci responsabili della fragilità degli altri cercando un destino comune”.
Pubblicato da FarodiRoma
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