da Invictus.

“Fizcult Hurà” letteralmente significa: “viva la cultura fisica”. È un motto sovietico. Inneggia allo sport, come miglioramento di sé stessi sia a livello fisico che interiore.
Questa storia inizia in un bar di Kiev. Iosif Kordik, grande appassionato di calcio, non crede ai suoi occhi. Lì a due passi da lui, c’è il grande Nikolai Trusevich, il portiere della Dinamo Kiev. Era magrissimo, il suo volto era scavato. Era quasi irriconoscibile. Kordik lo riconobbe dalla cicatrice sul volto che, anni prima, il grande Trusevich si era procurato in un violento scontro di gioco. Kordik si avvicinò all’irriconoscibile atleta e gli offrì il pranzo. Trusevich era appena stato liberato dal campo di prigionia di Darnica.
Kiev, settembre 1941. I Nazisti, spazzando via un’inconsistente “Armata Rossa”, occupano Kiev e l’intera Ucraina. I tedeschi, all’indomani dell’occupazione, trucidano centinaia di ucraini. Fucilano, in due giorni, quasi 34.000 ebrei presso Babyn Jar e fanno oltre seicentomila prigionieri di guerra. Tra quei prigionieri vi era anche Trusevich. Era stato catturato e internato presso il campo di prigionia di Darnica. La sua colpa? Essere un calciatore della Dinamo Kiev, squadra che faceva capo all’NKVD, la polizia segreta ucraina. Giocare per la Dinamo voleva dire far parte dell’NKVD. Far parte dell’NKVD, durante l’occupazione nazista, voleva dire essere un nemico del Reich. Trusevich durante quel pranzo, raccontò a Kordik le sue disavventure. Gli raccontò della famiglia rifugiata a Odessa. Gli disse che i tedeschi lo avevano liberato, ma che per ottenere la libertà era stato costretto a firmare una dichiarazione di lealtà al regime nazista. Kordik era di origine ceca. Durante il primo conflitto mondiale, aveva combattuto per l’impero austro ungarico. Ferito in battaglia si era rifugiato in Ucraina. Prima dell’occupazione nazista, lavorava, come dipendente, nel più grosso panificio di Kiev. L’occupazione nazista, per Kordik, a differenza di Trusevich, fu una fortuna. Kordik parlava perfettamente tedesco. Con furbizia, cambiò il suo luogo di nascita. Si dichiarò austriaco e ottenne dai nazisti il riconoscimento dello status di Volksdeutsche. I Volksdeutsche erano cittadini di origini tedesca, già residenti a Kiev, ben prima dell’occupazione, ai quali i nazisti riconobbero il privilegio di gestire attività. A Kordik fu affidato il più grande panificio della città. Da dipendente, ne divenne padrone. Per Kordik, Trusevich era un idolo. A dire il vero, era un idolo per tutti gli Ucraini. Durante quel pranzo, in quel bar, gli offre un lavoro. Lo assume come dipendente del panificio. In tal maniera, al grande portiere, non offre solo un lavoro, del cibo ma anche una “protezione” dal Reich. L’offerta di Kordik non è del tutto disinteressata. Chiede a Trusevich di contattare altri giocatori dell’ormai sciolta Dinamo. Il suo scopo è quello di assumere nel suo panificio grandi personaggi sportivi, di prestigio. L’obbiettivo è quello di fornire ai dipendenti una valvola di sfogo, il calcio, che consenta loro di lavorare meglio e produrre di più. Trusevich riesce a contattare altri suoi ex compagni di squadra. Riesce ad “ingaggiare” anche il fortissimo attaccante Makar Honcharenko, il quale, durante l’invasione nazista, era riuscito a salvare i suoi amati scarpini da calcio. Il grande portiere riesce a far assumere anche tre calciatori della Lokomotiv Kiev, l’altra squadra della città.
Nonostante l’occupazione, il Reich non era riuscito a piegare del tutto i fieri e combattivi ucraini. A Kiev, operavano diverse organizzazioni clandestine. Tali organizzazioni, si adoperavano per aiutare la cittadinanza e tenevano alto il morale degli ucraini. I tedeschi per piegare definitivamente Kiev si affidano alla propaganda. Si affidano al calcio e decidono d’istituire un vero e proprio campionato. L’obbiettivo è quello di narcotizzare il popolo, distrarlo dall’"occupazione". 
Kordik e Trusevich colgono l’occasione. I dipendenti del panificio, fondano una squadra di calcio. Tra loro ci sono i giocatori più forti di Ucraina. La chiamano “Start FC”. I giocatori sono debilitati, lavorano duramente, ma a quel torneo vogliono, devono esserci. Tranne Honcharenko, gli altri non hanno nulla, né scarpini, nè divisa da gioco. Fu Trusevich a trovare le divise in un magazzino. La maglia della neonata “Start FC” era di colore rossa. “Non abbiamo armi – disse Trusevich – ma possiamo combattere per la vittoria in campo. Indosseremo questo colore, il colore della nostra bandiera: i fascisti devono imparare che questo colore non si piegherà”. Questo era lo spirito con il quale i calciatori si apprestavano ad affrontare il campionato nazista. Allo stesso tempo erano consapevoli, che la partecipazione al campionato poteva costare loro l’accusa di collaborazionismo con il Reich. Ma l’amore per il calcio, per l’Ucraina era troppo forte per rinunciare al torneo.
Al campionato partecipavano squadre tedesche, ucraine, romene e magiare.
7 giugno del 1942. Allo “Stadio della Repubblica” di Kiev si affrontano Start e Ruch. Il Ruch è l’altra squadra ucraina iscritta al campionato. Il suo fondatore è Heorhyj Scvecov. È ucraino, è un collaborazionista. I membri del Ruch sono dei collaborazionisti del Reich, giocatori di livello inferiore a quelli dello Start. L’incontro termina con il risultato di 7-2 per la compagine di Trusevich. Scvecov, non accetta la sconfitta e chiede agli organizzatori nazisti di vietare allo Start, per rappresaglia, di giocare gli incontri successivi allo “Stadio della Repubblica”, il più grande d’Ucraina. Lo Start sarà costretto a giocare, le restanti partite, in un’arena più piccola, lo “stadio Zenit”, ma la marcia sarà inarrestabile. 6- 2 alla squadra del battaglione magiaro, 11-0 alla compagine Romena, 6-0 alla PGS, squadra tedesca, 5-1 alla MGS Wal altra squadra ungherese. Con questi risultati la squadra del panificio conquista il pubblico. Gli ucraini non fanno altro che parlare di quell’invincibile squadra che batte tutto e tutti. Lo Start diventa un simbolo. Diventa il simbolo della resistenza, della speranza, della libertà dal giogo nazista. La propaganda tedesca naufraga sotto i gol di Honcharenko e compagni. Il Reich non può arrestare quei diavoli rossi, non può creare dei martiri. Per domare Kiev, per domare Honcharenko, Trusevich e compagni, ha un’unica strada da percorrere: sconfiggere lo Start, sul campo. Il 6 agosto del 1942 lo Start affronta il Flakelf. Il Flakelf è la più forte squadra militare tedesca di stanza in Ucraina. È considerata invincibile. Risultato 5-1 per lo Start. I tedeschi non accettano la sconfitta e si creano l’ultima possibilità per battere la squadra del panificio, per piegare Kiev, la resistenza ucraina. 
Il 9 agosto del 1942 il Reich organizza la rivincita tra Flakelf e Start. È una giornata calda. Quel giorno si disputa l’incontro che passerà alla storia come la “partita della morte”. Trusevich, Honcharenko, Kuzmenko, Komarov, Klymenko sono debilitati, denutriti, stanchi. I giocatori del Flakelf sono in forma, pasciuti, allenati. Lo stadio è pieno di tifosi e simpatizzanti tedeschi. Un piccolo spicchio è riservato agli ucraini. L’arbitro è un ufficiale delle SS. Prima del fischio d’inizio, il direttore di gara invita le squadre a salutare il pubblico. Le squadre sono tenute al saluto nazista. I giocatori del Flakelf urlano a squarcia gola “Heil Hitler”, alzando il braccio. I calciatori dello Start non rispondono con il medesimo saluto. Urlano a più non posso “Fizcult Hurà”. Rivendicano con quel saluto, urlato a più non posso, la loro nazionalità. Lo Start gioca per il popolo ucraino, per la libertà. Il gioco è duro. L’arbitro non è imparziale. I tedeschi picchiano. Su un’azione di gioco Trusevich, l’estremo difensore, il simbolo della squadra, prende un calcio al volto, resta stordito, ma il gioco continua. Approfittando dell’infortunio di Trusevich, il Flakelf passa in vantaggio. Gli ucraini non si demoralizzano. Sono più forti, più talentuosi, sono invincibili. Kuzmenko, centravanti dello Start, con un potente fendente da trenta metri rimette in parità le sorti del match. A quel punto sale in cattedra il portentoso Honcharenko. Il talentuoso attaccante ucraino, prima, con un dribbling ubriacante e, successivamente, con una mezza rovesciata porta il risultato sul 3-1 per lo Start alla fine del primo tempo. Durante l’intervallo, gli ucraini ricevono la visita di un ufficiale delle SS il quale dice loro:” “Siamo veramente impressionati dalla vostra abilità calcistica e abbiamo ammirato il vostro gioco del primo tempo. Ora però dovete capire che non potete sperare di vincere. Prima di tornare in campo, prendetevi un minuto per pensare alle conseguenze”. Nonostante la minaccia dell’ufficiale nazista, la musica nel secondo tempo non cambia. Lo Start continua a macinare gioco e a segnare. 5-3 il risultato finale. Ma lo Start non si limita a vincere, umilia l’avversario. A pochi minuti dalla fine, il difensore Klymenko, con un’azione imperiosa, dribbla l’intera difesa avversaria, supera il portiere e giunge sulla linea di porta. Basta appoggiare la palla in rete e segnare il 6-3. Klymenko, però, sulla linea si ferma e non scaraventa la palla nella porta sguarnita. La calcia dall’altro lato, verso il centrocampo. Al triplice fischio finale, Trusevich, Honcharenko e tutti gli altri eroi di quella storica partita si ritrovano nel cerchio di centrocampo. Sono felici. Hanno vinto. Non hanno vinto una semplice partita, ma molto di più. Nello stesso tempo sono consapevoli di aver compromesso le loro esistenze, la loro vita. Hanno sfidato il Reich e lo hanno battuto.
Lo Start giocherà un’ultima partita. La giocherà nuovamente contro il Ruch, la squadra del collaborazionista Scvecov. Vincerà per 8-0. 
Dopo alcune settimane, tutti i giocatori furono arrestati. Furono accusati di essere dei nemici del Reich. Erano dei giocatori della Dinamo Kiev e in quanto tali appartenenti all’NKVD, la polizia segreta ucraina. Ciò bastava per accusarli di tradimento. Furono picchiati e torturati. Furono internati nel campo di concentramento di Syrec. Honcharenko e alcuni compagni riuscirono a scappare dal campo. Il 23 febbraio del 1943. Trusevich, il grande portiere, della Dinamo Kiev e dello Start, Klymenko, il difensore che si “rifiutò” di segnare il 6-3 e Kuzmenko, il centravanti, furono accusati di aver tentato di incendiare il campo di Syrec. Furono fucilati. Trusevich morì indossando la maglia dello Start, era l’unico indumento caldo che possedeva.
Nel 1981 lo “Stadio Zenit” di Kiev è stato intitolato allo Start, oggi si chiama “Stadio Start”
Dinnanzi allo Stadio Dynamo Lobanovs'kyj, a Kiev, vi è una scultura in pietra che raffigura quattro calciatori. La scultura è dedicata alle imprese dello Start. Su quella scultura vi è scritto:
"Per il nostro presente
sono morti nella lotta
la vostra gloria non si spegnerà,
eroi, atleti senza paura."

“Fizcult Hurà” miglioramento fisico e interiore grazie allo sport…
“Fizcult Hurà” il grido di battaglia dell’invincibile “Start FC”
#invictus

Condividi