da INVICTUS.

C’era una volta un re. Come tutti i sovrani, aveva un regno. Il suo regno era piccolissimo. Si estendeva su un metro quadro. In quel metro quadro, quel re, con un pallone tra i piedi, dominava e incantava le folle. Quel sovrano era un uomo amato dal popolo. Aveva lunghi riccioli neri e un paio di baffoni. Era rapido e letale.
Questa è la storia del “Rey del metro cuadrado”. È la storia di un uomo, un calciatore che con un pallone e i suoi dribbling sconfisse un dittatore e conquistò la libertà del suo popolo
Carlos Humberto Caszely, nasce a Santiago del Cile il 5 luglio del 1950. È l’ultimo di tre figli. Il papà, Renè, è un ferroviere di origini ungheresi. Carlos fin da bambino ama a giocare a pallone. Gioca nelle strade polverose del quartiere popolare San Eugenio. Viene notato dagli osservatori della più grande squadra del Paese, il Colo-Colo. È un ragazzino tanto rapido col pallone quanto sveglio e intelligente. È consapevole che nella vita bisogna studiare. Riesce a coniugare, con profitto, il calcio con lo studio. Nel 1967, dopo aver fatto tutta la trafila delle giovanili, esordisce in prima squadra. Caszely è un centravanti rapido, astuto, letale. A suon di gol diventa il beniamino dei tifosi. In un metro quadro si riassume tutto il suo talento calcistico. È dotato di un dribbling secco e di una velocità di esecuzione che lo rendono il più forte giocatore cileno. Per tutti i tifosi è “El Rey del metro cuadrado”. Al contempo si appassiona alla politica, ai problemi sociali del suo popolo. Nel 1970, la passione politica lo porta a sostenere “Unidad Popular”, partito politico di sinistra. “Unidad Popular” è il partito di Salvador Allende. In Allende, Carlos vede una speranza. In quell'uomo Carlos, come milioni di cileni, vede un’opportunità di cambiamento, di libertà, di riscatto, di equità sociale. Nel novembre del 1970, la speranza si materializza, Salvador Allende, il rivoluzionario non violento, viene eletto democraticamente Presidente del Cile.
Nell'estate del 1973, Carlos lascia il Colo-Colo. Lo aspetta un ingaggio in Spagna, al Levante. Dalla lontana Spagna, assiste alla fine di un sogno. L’11 settembre del 1973, la speranza di milioni di cileni e di Carlos, viene cancellata, distrutta. L’esercito, con a capo il Generale Augusto Pinochet, bombarda la Moneda, il palazzo presidenziale. Allende muore in quel palazzo, suicida. Il Cile piomba nell'efferata dittatura di Pinochet. Il sogno di cambiamento, di un futuro migliore, viene divorato dai carri armati e dai fucili.
Il 21 novembre del 1973. Caszely è all’”Estadio Nacional” di Santiago del Cile. Solo pochi mesi prima quello stesso stadio era stato trasformato dal regime in un campo di concentramento. In quel catino erano stati rinchiusi, torturati e uccisi gli oppositori di Pinochet. Quel giorno di novembre, quello stadio è a festa, è stracolmo. Il Cile è chiamato a disputare una delle partite più importanti della sua storia calcistica. El Rey è lì per giocare per il suo Paese. È lo spareggio per accedere ai mondiali del 1974 che si terranno in Germania Ovest. Sono tutti presenti: i tifosi, le autorità, lo stesso Pinochet. La Roja si appresta a dare il calcio d’inizio. L’arbitro fischia, ma i giocatori cileni, su quel campo di gioco, sono soli. Gli avversari non ci sono. L’URSS aveva deciso di non giocare quella partita in aperta contrapposizione alla FIFA e alla comunità internazionale. I Cileni, invece, dovevano giocarla. Per Pinochet era una straordinaria opportunità propagandistica. Il clima è surreale. I giocatori della nazionale si devono prestare ad una sceneggiata, ad una farsa. Al fischio arbitrale devono recitare un copione già scritto. Devono giocare la palla e uno di loro, il capitano Valdes, deve segnare il gol a porta vuota. Carlos aveva promesso a sé stesso di non giocare quel pallone. Semmai l’avrebbe buttato in tribuna con tutta la forza e la rabbia che aveva in corpo. Non tenne fede alla promessa. La paura prese il sopravvento. In quel frangente fu codardo. Come già deciso fu il capitano Valdes a segnare a porta vuota. Il Cile si qualificava ai mondiali del 1974. Nello spogliatoio dell’”Estadio Nacional” alla fine di quell'assurda pagliacciata, Caszely fu travolto dalla vergogna e dalle lacrime. In quello spogliatoio roso dalla rabbia e dall'infamia fece una promessa: El Rey non abbasserà mai più la testa, mai più verrà meno ai suoi ideali, mai più sarà complice di Pinochet e del suo infame regime.
El Rey strenuamente tiene fede alla promessa. Prima di partire per i mondiali tedeschi, la nazionale viene convocata da Pinochet. Il dittatore vuole salutare i giocatori. Vuole sfruttare la Roja a scopi propagandistici, ancora una volta. Stringe la mano calorosamente ad ognuno dei calciatori. È il turno di Carlos. El Rey tiene le mani dietro la schiena. Non saluta il dittatore, non abbassa la testa. Quella promessa, Carlos la pagherà cara. La partita d’esordio al “Mondiale” del 1974 vede contrapposta la Roja ai padroni di casa della Germania Ovest. Carlos al 67° minuto si rende protagonista di un violento fallo di gioco. Viene espulso. La sua è la prima espulsione nella storia dei campionati del mondo. La Germania vince 1-0. Il cammino del Cile in quel “Mondiale” è disastroso. Viene eliminato al primo turno. La stampa di regime attribuisce le colpe di quella debacle sportiva a Caszely. Per ben 5 anni non verrà più convocato.
Il regime non si limita a colpire Carlos come calciatore, lo colpisce anche come uomo, figlio, cittadino. Mentre è in Spagna, la mamma di Carlos, Olga Garrido, viene arrestata dalla Dina, la polizia segreta di Pinochet. Viene torturata e umiliata. Per alcuni giorni è nella lista dei desaparecidos. Viene rilasciata. La prigionia segnerà per sempre Olga.
Nel 1979, El Rey torna in patria, al Colo-Colo. Continuando a dominare il suo metro quadro, segna gol su gol. Tutti quelle reti gli valgono la chiamata della nazionale. L’ostracismo è terminato. Il regime odia Caszely, ma il suo indiscusso talento è indispensabile per la nazionale. Trascina con i suoi dribbling la Roja alla finale di “Copa America” e alla qualificazione ai campionati mondiali spagnoli del 1982.
La storia si ripete. Il Cile affronta l’Austria. Viene fischiato un rigore per i sudamericani. Carlos va sul dischetto. Quel penalty non può che calciarlo El Rey. Lo sbaglia. Ancora una volta la spedizione iridata dei cileni è disastrosa. La stampa attacca impietosamente El Rey. Lo accusa di aver sbagliato volutamente il rigore. Lo accusa come se fosse un traditore della patria. Carlos continua a giocare, fino al 1985. La sua partita d’addio al calcio si trasforma in una vera e propria manifestazione contro Pinochet. El Rey appende le scarpe al chiodo, ma la sua battaglia contro la dittatura continua.
Nel 1988 viene indetto un referendum popolare. I cileni sono chiamati a decidere se vogliono ancora o meno Pinochet. Nelle case dei cileni ogni sera, in TV, va in onda uno spot elettorale. Una signora sessantenne racconta la sua storia. Racconta le torture, le minacce e le umiliazioni subite dal regime. Alla fine del racconto compare Carlos. El Rey guarda dritto negli occhi il suo popolo e fermo afferma: “Per questo il mio voto è No. Perché la sua allegria è la mia allegria. Perché i suoi sentimenti sono i miei sentimenti. Perché il giorno di domani potremo vivere in una democrazia libera, sana, solidale, che tutti possiamo condividere. Perché questa bella signora è mia madre”. Carlos e Olga con quello spot contribuiranno in maniera decisiva alla vittoria del “no”. Con quel no i cileni mettevano fine alla dittatura.
C’era una volta un re. Quel re aveva un regno. Il suo regno si estendeva su un metro quadro. Quel re, su quel metro quadro, con un pallone tra i piedi, sconfisse una dittatura e conquistò la…libertà
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