di Christian Cinti

Se la Catalogna piange, l’Umbria non ride. Magari non sarà una vera e propria secessione, ma qualche mal di pancia c’è. Perché il riequilibrio territoriale che avrebbe dovuto seguire la riforma Delrio del 2012 non c’è mai stato, perché più di qualcuno guarda con stanchezza – e amarezza – al regionalismo «perugino-centrico», perché il misurino con cui si cercano di regolare le rappresentanze politico-istituzionali non basta più ad una regione che, probabilmente, si sta scoprendo fragile, piccola, in affanno rispetto alle sfide del futuro. Che sarà anche un po’ “local”, ma è soprattutto globale.

RIEQUILIBRIO, QUESTO SCONOSCIUTO

All’indomani della riforma che tentava di dare un colpo di spugna alle Province, si aprì un dibattito che avrebbe dovuto disegnare il volto nuovo dell’Umbria. E invece, cinque anni dopo, è cambiato tutto e non è cambiato nulla. E’ vero: le province, non ci sono più. O meglio, non ci sono più i consigli provinciali e un po’ della zavorra che si portavano dietro. Poca cosa però rispetto a tutto l’apparato di burocrati e burocrazia che ha semplicemente cambiato casa. E, in parte, funzione. Le ex province continuano ad occuparsi di scuola, strade, ambiente. Distribuiscono appalti, seguono le politiche del lavoro sotto l’egida della neonata Agenzia umbra per il lavoro. Spendono un po’ meno, ma solo perché da Roma ricevono meno soldi.
A settembre del 2012, sotto l’egida del Cal (Comitato per le autonomie locali) a Foligno si tennero gli Stati generali dai quali sarebbe dovuta nascere la scintilla di una nuova Umbria. Regione, Comuni e Province (seppure azzoppate) trovarono sul tavolo un documento proprio del Cal contenente una articolata proposta di riordino delle due circoscrizioni in cui si ipotizzava si potesse dividere l’Umbria. «Il territorio della futura circoscrizione provinciale di Terni, che potrebbe assumere anche una diversa denominazione - si leggeva nella proposta del Cal – ricomprende i seguenti Comuni: Bevagna, Campello sul Clitunno, Cascia, Castel Ritaldi, Cerreto di Spoleto, Foligno, Giano dell’Umbria, Gualdo Cattaneo, Montefalco, Monteleone, Nocera Umbra, Norcia, Poggiodomo, Preci, Sant’Anatolia di Narco, Scheggino, Sellano, Spello, Spoleto, Trevi, Vallo di Nera e Valtopina». Questo intervento avrebbe così creato «due Province con una determinazione territoriale quasi uguale e popolazioni più equilibrate» con la Provincia di Perugia che avrebbe coperto «un’estensione di 2.042 chilometri quadrati per 516mila abitanti e quella di Terni con 2.121 chilometri quadrati per 392mila abitanti». Ma di tutto questo, non si è fatto nulla.

DIVORZI GRANDI…

La parte sud dell’Umbria si è allora attrezzata: chi fa da sé, fa per tre. Tre, come i Comuni che stanno tentando di coagulare il dissenso, trasformandolo in una opportunità. A Spoleto è nato un comitato che vorrebbe trasferire la città ducale in provincia di Terni. All’ombra delle Marmore incassano i corteggiamenti e rilanciano l’invito oltre i confini regionali, a Rieti. Rispolverando un legame che arriva da lontano e che fu sacrificato proprio con la nascita della Provincia dell’Umbria con Perugia capoluogo (1860) ma che si provò in qualche modo a risuscitare nel 1926 quando «un documento ufficiale del prefetto di Perugia, Mormino – è illustrato nel sito del Comitato per Spoleto in provincia di Terni – indirizzò al ministero dell’interno l’ipotesi di una circoscrizione provinciale formata dai comuni della Valnerina fino a Visso e Leonessa; verso il Lazio, con l’accorpamento dei comuni di Orte, Morro Reatino, Labro, Configni, Vacone, Rocchette, Montebuono, Tarano, Montasola e Cottanello», aggiungendo poi «che questa provincia avrebbe dovuto riunire i circondari di Rieti e di Terni, alcuni comuni della Valnerina (Preci, Norcia, Vallo di Nera, Sant’Anatolia di Narco, Poggiodomo, Scheggino e Monteleone di Spoleto) e i comuni “di confine” Visso, Leonessa e Orte». «Ci sono molte più opportunità nell’essere la seconda città della Provincia di Terni che la quarta città della Provincia di Perugia – spiegano dal Comitato - anche alla luce degli scarsi risultati ottenuti dalla nostra città dopo che nei decenni è stata schiacciata dalle politiche economiche-sociali e opportunistiche del duo Perugia-Foligno che ha di fatto depauperato Spoleto di molti suoi servizi e della sua centralità rispetto al territorio umbro e della Valnerina in particolare». La risposta dell’Unione civica per Terni – che a fine settembre ha organizzato un convegno proprio per parlare di riequilibrio territoriale - lascia poco spazio alla fantasia: «Sono state già create nuove e importanti sinergie con realtà che insistono sul territorio sabino e spoletino, territori che, come il nostro, vivono l’isolamento da parte dei centri decisionali, con la ferma convinzione che solo attraverso la realizzazione di una vasta area con una massa critica superiore si possa creare una rete di interconnessioni in grado di portare un valore aggiunto alle realtà coinvolte rendendo l’insieme più competitivo della somma dei singoli».

…E PICCOLI

E di «distanza, non solo geografica» si parla anche a Porchiano del Monte, piccola frazione del Comune di Amelia, che da qualche tempo sta accarezzando l’idea di lasciare l’antica Ameria e abbracciare Lugnano. La discussione, nata su iniziativa di alcuni residenti, anima le pagine di un blog locale (porchianodelmonte.info) dove interviene anche Alessandro Dimiziani, consigliere comunale a Lugnano: «Di sicuro è tanto che se ne parla. Come amministratore di Lugnano vedo questa possibile iniziativa in senso positivo per entrambe le comunità. Lugnano sta regredendo demograficamente in maniera vertiginosa e Porchiano si trova geograficamente distante dal capoluogo Amelia a differenza di Lugnano che dista appena tre chilometri e quindi potrebbe offrire servizi come posta, cup con la Croce verde, servizi sociali e servizi comunali più comodi. Poi Lugnano e Porchiano hanno unioni storiche, le parrocchie oggi sono affidate ad un unico parroco: insomma, sulla carta tutto fa pensare ad una positiva soluzione alla questione».

MATRIMONI GRANDI

Dunque, il tema tiene banco. E non può ignorare un’altra questione importante: le macroregioni. Proposte, progetti e accordi entrano ed escono dall’agenda politica a seconda di convenienze e concomitanze. Se perciò i prossimi referendum secessionisti di Lombardia e Veneto saranno, più che altro, lo strumento che alcune forze politiche azionano per contarsi in vista delle elezioni 2018, l’ipotesi di superare l’attuale regionalismo desta interesse. Un sondaggio della Sigma Consulting condotto tra mille marchigiani e realizzato in esclusiva per l’agenzia di stampa Dire rivela ad esempio che il 57% degli intervistati si dice favorevole alla riduzione del numero delle Regioni e che, tra le varie ipotesi di macroregione analizzate, quella più allettante risulta essere quella che accorperebbe Marche, Umbria e Toscana (54% favorevoli).

…E PICCOLI

Fino ad ora, tutto si è mosso nel campo dei desiderata. Ma qualcuno che fa sul serio c’è. I Comuni di Giove e Penna in Teverina – nel Ternano – hanno infatti avviato l’iter che, una volta sentiti dipendenti comunali, sindacati e cittadini, potrebbe portare alla fusione dei due municipi. «Oggi, soprattutto per i piccoli Comuni – è la relazione che dà il via al percorso partecipativo - non è più possibile rispondere efficacemente alle esigenze dei loro cittadini ed avere la capacità di lavorare al meglio e progettare il futuro delle loro comunità». Per cui, la strada della fusione viene individuata «come la principale opportunità di sviluppo e di benessere sociale per i due territori e per il futuro dei giovani». Il nuovo comune – che dovrà avere anche un nuovo nome - avrà oltre 3mila abitanti, un sindaco, una giunta, un consiglio comunale e servizi condivisi per non lasciare scoperti i gli attuali territori. Beneficerà di una premialità prevista dalle leggi dello Stato per circa 3,3milioni di euro in dieci anni, ai quali si sommeranno oltre 400mila euro di risparmi: 4 milioni di euro da mettere a servizio del territorio. Ma soltanto se le comunità locali saranno favorevoli. 

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