da Invictus.

Faenza, corso Garibaldi. Al numero civico 22, vi è una lapide. Quella lapide è stata collocata, nel 1955, per ricordare un uomo che ha combattuto per la libertà.
Bruno Neri nasce a Faenza il 12 ottobre del 1910. Suo padre è impiegato nelle ferrovie. È il capostazione di Faenza. Bruno gioca a calcio. Giovanissimo, all'età di 14 anni, è tra le riserve della squadra della sua città. A 16 anni diventa titolare, disputando il campionato di seconda categoria. Il suo ruolo è terzino.
Nel 1929, viene acquistato da una giovane e ambiziosa società: la Fiorentina, all'epoca in Serie B. Nel 1926, il marchese Luigi Ridolfi Vay di Verrazzano, eroe della grande guerra, fonda la società viola. Ridolfi è ambizioso ed è un gerarca fascista stimato da Mussolini. Ridolfi vuole rendere la Fiorentina il simbolo del regime fascista. Il primo passo è quello di costruire una squadra competitiva e portarla in Serie A. Il Marchese acquista il giovane Neri per la clamorosa cifra di 10.000 lire. Bruno da terzino passa a centrocampo, ruolo mediano. È un mediano grintoso, tenace. Nel 1931, la Fiorentina del mediano Neri, vero motore della squadra, e del presidente Ridolfi, conquista la Serie A. Il Marchese sogna in grande. Decide di costruire, di tasca sua, lo stadio della sua amata squadra. Affida l’opera a Pier Luigi Nervi. A Nervi, Ridolfi, commissiona la costruzione di uno stadio che deve essere espressione del fascismo. L’illustre ingegnere e accademico partorirà un’arena imponente a forma di “D”, come dux, duce. Il marchese, fondatore e presidentissimo della Fiorentina, vuole che quel catino a forma di “D” ricordi un martire della rivoluzione fascista. Lo stadio viene intitolato a Giovanni Berta, militante fascista, ucciso dai comunisti nel 1921. Il 13 settembre del 1931 al “Giovanni Berta” di Firenze, viene disputata la partita inaugurale tra la Fiorentina e la compagine austriaca dell’Admira Vienna. Lo stadio è ancora in costruzione. Alla partita assistono 12.000 spettatori. In tribuna d’onore c’è il podestà del capoluogo toscano, Della Gherardesca, naturalmente Ridolfi e decine di gerarchi fascisti. Le squadre prima d’iniziare le ostilità, come di consueto, rivolgono il saluto al pubblico. I giocatori di entrambe le formazioni sono al centro del campo. Tutti alzano il braccio destro, tutti tributano al pubblico il saluto romano, tranne uno. Bruno Neri, quel giorno, si rifiuta di esibire il saluto fascista. Il mediano Neri mantiene le sue braccia salde lungo i fianchi. Bruno non è fascista. Bruno è un mediano grintoso, tenace e coraggioso. Bruno non tirava mai dietro la gamba, Bruno non si piegava mai. Non indietreggiava mai. Con quel gesto vuole a mostrarlo a tutti. Il suo rifiuto non passa inosservato. Il presidentissimo non la prende bene. Quel gesto “sconveniente”, imbarazzante del suo mediano lo fa andare su tutte le furie, ma non può far altro che perdonarlo. Neri non è un fascista modello, anzi non lo è proprio, ma è un giocatore straordinario che fa vincere la viola, e questo, a Ridolfi, basta e avanza.
Bruno è un personaggio atipico. È appassionato di lettura e poesia. Visita musei e pinacoteche. È un assiduo frequentatore del caffè Giubbe Rosse. In quel bar, vero centro culturale della città, fa amicizia con scrittori, giornalisti poeti e intellettuali. È solito frequentare Eugenio Montale e Carlo Bo. Si iscrive all'università dopo aver conseguito il diploma in agraria. Quella laurea non arriverà mai. Nel 1936, viene convocato in nazionale dal leggendario CT Vittorio Pozzo. Per tre volte vestirà l’azzurro. Dopo 7 stagioni in viola e diversi successi personali e di squadra, Neri lascia la Fiorentina e il presidente Ridolfi. Dopo una breve parentesi alla Lucchese, nel 1937 passerà al Torino. In granata è il veterano del gruppo. Voluto fortissimamente dall'allenatore Erbstein, farà da chioccia a molti giovani di talento che costituiranno l’ossatura del “Grande Torino”. Si ritira a 30 anni, nel 1940.
Nel 1943, Neri è in Sicilia. Ha risposto alla chiamata alle armi. Con i suoi occhi assiste allo sbarco alleato e allo sfacelo dell’esercito italiano. Dopo l’armistizio del 8 settembre torna a casa a Faenza. A Faenza riprende a giocare a calcio, indossando la maglia della squadra della sua città. Il 7 maggio del 1944 fu l’ultima volta che Neri fu visto a Faenza. Quel giorno si disputava la partita valida per il campionato di guerra Alta Italia tra Faenza e Bologna. Bruno giocò quell'ultima partita. La perse per 3-1. Al termine di quell'incontro, salutò tutti dicendo: “Vado a fare il mio dovere”. Aveva deciso di aderire alla resistenza. Aveva deciso di disputare un’altra partita e di vincerla. Aveva deciso di combattere per liberare l’Italia dal nazifascismo. Una scelta inevitabile per quell'uomo. Divenne il vicecomandante della brigata Ravenna. Il mediano Neri divenne il partigiano Berni. Berni era alla guida di un commando di una ventina di uomini che operavano sull'appennino tosco-emiliano a ridosso della Linea Gotica. Il loro compito era quello di recuperare munizioni, armi e viveri che gli alleati lanciavano sul monte Lavane. Una volta recuperati i sacchi contenenti il materiale, dovevano distribuirli a tutte le brigate partigiane del luogo. Berni era coraggioso. Non si piegava. Non indietreggiava. Il 10 Luglio del 1944, Berni si trovava presso l’eremo di Gamogna. Doveva recuperare quei sacchi. Fu sorpreso dai soldati tedeschi e, lottando per la libertà, perse la vita.
Al civico 22 di corso Garibaldi, a Faenza, vi è una lapide. Su di essa c’è scritto:

«Qui ebbe i natali
BRUNO NERI
comandante partigiano
caduto in combattimento
a Gamogna il 10 luglio 1944
dopo aver primeggiato come atleta
nelle sportive competizioni
rivelò nell’azione clandestina prima
nella guerra guerreggiata poi
magnifiche virtù di combattente e di guida
esempio e monito alle generazioni future»

Questa è la storia di Bruno Neri, il mediano che tenne le mani lungo i fianchi e "rifiutò" il saluto fascista. Quel mediano amava ripetere un concetto, una frase come un mantra: “Quando si riceve la palla, bisogna già aver deciso come giocarla”. Il comandante Berni aveva deciso di giocarla…per la libertà.
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