di Christian Raimo

Il ministro Matteo Piantedosi ha detto delle parole talmente oscene che sembra inutile commentarle. 
Ma manca, nel lasciare alla sola indignazione di fronte alla mancanza di umanità per un naufragio, un pezzo di pensiero sulle migrazioni e sulle necessarie politiche di sinistra rispetto alle migrazioni. 
Le persone che attraversano il Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna non sono solo disperate: possono essere intraprendenti, coraggiose, incoscienti, volitive, sognatrici, spaventate, determinate, progettuali, o anche, in vari casi certo, persone senza altra scelta se non quella di tentare una rischiosa attraversata. E possono essere queste cose insieme. 

Le ragioni, le cause, i desideri, le motivazioni delle migrazioni sono diversissime, e hanno in comune una serie di elementi che non sono emotivi, ma materiali, non determinati dai protagonisti delle traversate: l'azzardo di questi viaggi non è dettato dalla disperazione di chi lo affronta, ma dalle inutili e disumane condizioni imposte dalle varie forme di contrasto all'immigrazione che attua l'Europa. 

In più le persone più disperate, quelle senza possibilità, non lo tentano nemmeno un viaggio così faticoso e rischioso: in Europa, passando un mare pericoloso come il Mediterraneo e una mediazione strapericolosa come quella degli scafisti, arrivano quelle persone che hanno potuto disporre, nella maggior parte dei casi, almeno, delle forze fisiche, delle competenze culturali e sociali, e di fondi economici, per pagare i trasporti, i transiti, per resistere, per molti mesi, nelle traversate di diversi paesi prima di arrivare sulle coste africane o orientali del Mediterraneo. Nella stragrande maggioranza dei casi non ci sono anziani, non ci sono malati, non ci sono disabili, non ci sono poverissimi, non ci sono i disperati veri su quelle imbarcazioni: non ce la farebbero nemmeno a immaginare quelle traversate, non avrebbero le condizioni minime per poterle progettare. 

Se continuiamo a pensare ai migranti solo come vittime e come disperati, riduciamo la contrapposizione alla teppa  pseudoistituzionale incarnata da Piantedosi a umanità contro disumanità. Non può essere solo questo. 
Il numero di persone nel mondo che non vive nel posto in cui è nato è di 300 milioni: si tratta, per numero di abitanti, della settima nazione al mondo. Di questi una parte possono essere considerati profughi o rifugiati. Ma noi dobbiamo immaginare di lottare per riconoscere il diritto di tutti gli esseri umani a scegliere dove vivere. 

È nella lotta per la libertà una politica di sinistra. Altrimenti ci troveremmo a ridurre i diritti solo a quelli umani. E ci troveremo a contrastare impotenti le vomitevoli retoriche di una fasciume imbecille che parla di "diritto di non partire" come di "diritto a non abortire".

Fonte: facebook.com/christian.raimo.7

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