di Stefano Vinti.

La sanità regionalizzata è inadeguata ad affrontare la situazione nata dalla pandemia: l'assistenza domiciliare è scarsa, nuovi infermieri non si vedono, pochi sono gli assunti per il tracciamento dei possibili positivi e nel Servizio Sanitario, la nuova rete ospedaliera è bloccata in larga parte, poche sono le nuove terapie intensive (zero in Umbria), mancano gli anestesisti. Sintomatico è il caso dei tamponi: l'84% dei test realizzati finora sono stati forniti dal governo nazionale, ma l'organizzazione della somministrazione è compito delle Regioni. Lentezze e caos sono sotto gli occhi di tutti e hanno un effetto collaterale non da poco: producono profitti elevati per i laboratori privati a discapito di quelli pubblici.
Anche l'Umbria, a causa del duo: Tesei-commissari leghisti veneti, si è incamminata per questa strada della privatizzazione.
La maggior parte di quelli che pomposamente si fanno chiamare governatori, non sono neppure in grado di spendere i soldi che il governo centrale gli ha assegnato.
Visto questo fallimento in atto, non sarà il caso di iniziare a ripensare la sanità, ricentralizzando qualche funzione, dalle Regioni allo Stato centrale?

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