di Gaetano Azzariti 

«L’Italia ripudia la pace e riconosce la guerra come strumento di libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la vittoria militare su altre Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». È questo il nuovo articolo 11 della nostra Costituzione.
Sarebbe questo il nuovo testo secondo la raggelante cronaca di questi giorni. A ben vedere è l’intera comunità Nord atlantica ad aver abbandonato la convinzione, inscritta nella Carta delle Nazioni unite, della guerra come «flagello», per abbracciare l’idea futurista della guerra come «sola igiene del mondo».

Chi si oppone alla logica barbarica della guerra sino alla vittoria finale sul nemico non sembra più avere voce: il papa chi lo ascolta più? I pacifisti dove sono? Si sentono unicamente discorsi che non solo danno per scontato sia necessario continuare a combattere sul terreno, ma che – proprio per questo – ci si debba organizzare per proseguire la guerra, inasprire le strategie belliche, prepararsi al meglio per la prossima «campagna di primavera». Tutti danno per inevitabile l’«escalation». Si tratta dunque di armare sempre più l’«amico» ucraino per vincere sul «nemico» russo. Delle sofferenze dei popoli non è il caso di parlare. In caso può essere utile mostrare le atrocità compiute dagli altri, mai invece quelle della propria parte.

Le stesse residue titubanze degli Stati, come quelle inizialmente mostrate dal cancelliere tedesco nell’invio di carri armati, non devono essere interpretate come un tentativo di rimettere in discussione una strategia militare, ma semmai risolte in una chiave di rilancio dell’impegno comune, che vede l’invio oltre dei carri armati tedeschi anche di quelli di produzione americana. Senza che si intraveda nessun serio sforzo per conquistare la «pace» tra i popoli e le Nazioni, per vie non belliche, ora.
La pace – si dice – sarà pur conseguita, ma solo grazie alla guerra. È quella dei vincitori l’unica pace giusta, l’unica possibile. Così, magnificando le virtù della guerra, si prospettano gli auspicati scenari futuri: la dissoluzione del regime di Putin, la conquista di tutti i territori contesi, nessuno escluso, compresa l’intera Crimea, il tracollo dell’esercito nemico.
Vengono programmati persino «attacchi difensivi» (un linguaggio che ha poco rispetto della stessa grammatica) contro obiettivi nei territori russi, perché è necessario far «sentire la guerra» nelle grandi città. Di questo passo arriveremo a Mosca.

La logica demoniaca della guerra ha ormai afferrato le menti dei commentatori. Sono stati disegnati possibili scenari apocalittici, senza rendersi conto dell’apocalisse. Così, si ammette che possa rientrare tra le opzioni possibili l’uso delle armi atomiche, visto il numero spropositato di testate nucleari di ogni tipo in possesso del despota nemico. Ma, si aggiunge con rassicurante incoscienza, è «improbabile», e semmai sarà limitato all’impiego di armi nucleari solo «tattiche» e non invece «strategiche». È messo nel conto il rischio («improbabile», ma non «intollerabile») dell’annientamento di qualche città ucraina, un azzardo che sembra potersi ritenere in fondo accettabile per salvare il resto del mondo libero. Il quale però ben si riserva – «non esclude» – nel caso di rispondere con altre armi nucleari: chissà se «solo» tattiche o anche strategiche? Il dottor Stranamore appare un pacifista al confronto.
Se questa è la voce sempre più arrogante e incosciente dei Governi alleati, sempre più stordito e insicuro appare il popolo delle Nazioni coinvolte. Diviso sull’invio delle armi ma unito a favore del popolo invaso, impaurito dal rischio di un’estensione del conflitto ma incapace di fermare la guerra.
All’inizio del conflitto, almeno, qualcuno – persino tra le massime autorità politiche, oltre alla più alta autorità religiosa – aveva indicato la via per la pace: una conferenza internazionale che coinvolgesse ed obbligasse tutte le nazioni dell’Onu ad un impegno di pace. Discorsi dimenticati. Ora sembra che nessuno ripudi più la guerra. È la pace ad essere ricusata.

Se è questo il drammatico quadro, vorrei porre una serie di preoccupati interrogativi: il primo è la domanda più classica tra tutte: che fare? Le alternative non sono molte. Si può rimanere in attesa degli eventi, sperando nella vittoria finale e confidando che non arrivi prima l’apocalisse. L’alternativa a questo scenario è quella di ricercare ancora con caparbietà una via per la pace. Se questa non è più una priorità dei Governi forse lo può diventare tra i popoli? Ma dov’è il popolo? Chi lo rappresenta? In Italia più che guardare ai partiti è forse il caso di fare appello alle formazioni sociali che hanno dato vita ad una splendida manifestazione il 5 novembre. Non basta però un giorno per sconfiggere la follia della guerra e riaffermare il testo stravolto della nostra Costituzione e di quello dell’Onu. La guerra è sempre da «ripudiare» se vogliamo salvare le future generazioni dal «flagello». È necessario rimettersi in cammino.

Fonte Il Manifesto

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